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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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«MA, VINTA, L’ALTERA DIVENNE PIÙ FIERA»<br />

Se il mio cor tremò giammai<br />

della morte al crudo aspetto,<br />

non far sì che sia costretto<br />

a tremare pe’ tuoi dì.<br />

Prende dunque una fervida personalizzazione il tema schilleriano, che <strong>Maria</strong> esprimeva<br />

nell’atto primo a Mortimer, della sua ripugnanza a compromettere altri nel rischio<br />

della sua liberazione («Nessuno che sia fortunato ha mai protetto <strong>Maria</strong> <strong>Stuarda</strong>»,<br />

27 I.6). Sempre nella forma generalizzata, pur prendendo le mosse ancora dalla<br />

preoccupazione per Leicester, questa posizione tornerà anche nella parte quarta di <strong>Donizetti</strong>:<br />

«Ah son di tutti la sventura io sola!» (IV.1/II.3).<br />

Entra a questo punto Elisabetta (II.3/I.8), come in Schiller alla fine del dialogo tra<br />

<strong>Maria</strong> e Talbot (III.4). A sottolineare l’estrema tensione del momento il melodramma<br />

dispone e usa di un mezzo specifico, che perfino Victor Hugo, diffidente autore di ipotesti,<br />

era costretto a riconoscere: il concertato nel quale diverse voci esprimono contemporaneamente<br />

sulla stessa linea melodica le diverse reazioni alla situazione. Schiller<br />

le aveva invece espresse con la sola notazione sarcastica di Elisabetta, capace di servirle<br />

da pretesto per trasformare il colloquio in aggressione, ma anche di individuare con<br />

grandissima e implicita sapienza il gesto dignitoso della sua avversaria:<br />

Come, signori? Chi è che mi aveva preannunciato una donna profondamente abbattuta? Quella<br />

che trovo è un’orgogliosa, che la sventura non ha affatto piegato. 28<br />

Sempre Elisabetta apre il sestetto donizettiano con parole analoghe («È sempre la stessa,<br />

/ superba, orgogliosa», II.4/I.9), cui rispondono l’angoscia di <strong>Maria</strong>, che vede impressa<br />

la propria condanna nell’atteggiamento della rivale, l’odio trionfante di Cecil, e<br />

la solidarietà variamente sfumata di Anna, Talbot e Leicester.<br />

Dallo stallo si esce per iniziativa di <strong>Maria</strong>, la stessa che ella prendeva in Schiller in<br />

risposta all’ironia di Elisabetta – vale a dire il richiesto gesto di sottomissione: inginocchiandosi<br />

davanti alla rivale, pronuncia parole che comportano la rinuncia a ogni rivendicazione<br />

sia nel testo tedesco («Il cielo ha deciso a vostro favore, sorella» 29 ), sia<br />

ancor più chiaramente nella bella anafora del libretto di Bardari («Morta al mondo, ah!<br />

morta al trono, / ai tuoi piè son io prostrata»). Peraltro il codice della supplica, con il<br />

quale si rinuncia anche alla disponibilità fisica della propria persona, sia pure in maniera<br />

meno netta di quanto fosse nella ritualità greca classica, richiede a proprio completamento<br />

un gesto del destinatario che riscatta una tale condizione di impotenza, risollevando<br />

il supplice. È quanto <strong>Maria</strong> esplicitamente chiede in entrambi i testi –<br />

diciamo meglio, è costretta a chiedere perché Elisabetta non lo fa di sua iniziativa –, ed<br />

è quanto Elisabetta altrettanto esplicitamente rifiuta di fare, anche una volta richiesta:<br />

27 «Marien Stuart / hat noch kein Glücklicher beschützt».<br />

28 «Wie, mylords? / Wer war es denn, der eine Tiefgebeugte / mir angekündigt? Eine Stolze find’ ich, / vom<br />

Unglück keineswegs geschmeidigt».<br />

29 «Der Himmel hat für Euch entschieden, Schwester!».<br />

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