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Gaetano Donizetti Maria Stuarda - musica ... - Teatro La Fenice

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«COME IN LUI RUGGISSE L’ANIMA DRAMMATICA DI SCHILLER»<br />

larmente ricercate, e per di più atte a evocare la compassione. Nella sua cavatina di sortita<br />

la regina inglese esordisce in Sol maggiore, e nella terza parte (ovvero quadro primo<br />

dell’atto secondo) abbandona la scena fra armonie di Mi bemolle maggiore. Per<br />

contro, la prima cavatina di <strong>Maria</strong> impiega il Re bemolle maggiore e il Si bemolle maggiore,<br />

e la sua ‘aria del supplizio’ in più movimenti (IV.7-8/II.9-10) include: Fa minore,<br />

Si minore e Si maggiore.<br />

Una «straniera» venuta dalla Scozia<br />

Come abbiamo già argomentato, nel veder rappresentare la vita tragica di Mary Stuart<br />

era inevitabile che un pubblico cattolico s’identificasse con l’eroina sua correligionaria.<br />

Tuttavia nella parte quarta (ovvero quadro secondo dell’atto secondo) l’opera di <strong>Donizetti</strong><br />

aggiunge un altro elemento decisivo: <strong>Maria</strong> è acusticamente connotata come scozzese.<br />

Vero è che <strong>Donizetti</strong>, col suo radicale anelito alla concisione, aveva già rinunciato<br />

all’inizio della parte seconda (ovvero quadro secondo dell’atto primo) ad esprimere<br />

il rimpianto nostalgico di <strong>Maria</strong> per le Highlands scozzesi. «Qual suono! Quai voci! A’<br />

dolci piaceri / chi mai mi richiama degli anni primieri? / Di Scozia su’ monti guidavami<br />

allora / destriero fuggente le belve a seguir». Di questa quartina di Bardari, sopravvissuta<br />

nel libretto a stampa, non rimane in partitura che la breve esclamazione «Qual<br />

suono!». Al contrario, nell’ultimo quadro il compositore ritrasse l’intimità di <strong>Maria</strong> coi<br />

suoi fidi ricorrendo a tutti quei mezzi <strong>musica</strong>li che nel Romanticismo italiano connotavano<br />

l’immagine della Scozia. Al centro di questa intensificazione coloristica emerge la<br />

preghiera corale «Deh! tu di un’umile» (IV.6/II.8), l’unica scena priva di riscontro diretto<br />

in Schiller. Il canto innodico è accompagnato dall’inizio alla fine dagli accordi<br />

spezzati dell’arpa: una cifra inconfondibile, dal primissimo Ottocento fino ad oggi, di<br />

tutto ciò che attiene all’oscura protostoria dei nordici bardi stanziati nelle isole britanniche,<br />

dai poemi apocrifi del preteso Ossian all’odierna etichetta della birra irlandese<br />

più venduta. Anche alle orecchie meno sensibili <strong>Donizetti</strong> ricorda che <strong>Maria</strong> non viene<br />

dall’Inghilterra pressoché ‘civilizzata’, ma dalla Scozia, una terra che richiama erte scogliere,<br />

laghi serpeggianti e nebbiosi altopiani. Per le sue caratteristiche <strong>musica</strong>li – metrica<br />

breve, tonalità eroica di Mi bemolle maggiore, melodia costruita su moti scalari<br />

discendenti, strumentazione – questo imponente coro s’apparenta strettamente al coro<br />

dei bardi «Già un raggio forier» nel finale primo della rossiniana Donna del lago<br />

(1819), il primo grande successo ‘scozzese’ nella storia dell’opera. <strong>La</strong> maestosa architettura<br />

dell’inno corale culmina nella possente transizione dalla tonalità relativa di Do<br />

minore a un Do maggiore del tutto inatteso. Come molti altri dettagli, tale procedimento<br />

è particolarmente esaltato dallo scambio antifonale tra il coro e la voce di <strong>Maria</strong>,<br />

e ha fatto sì che la critica coeva potesse parlare di «una preghiera di bella fattura e<br />

di buon effetto». 24<br />

24 «<strong>La</strong> Gazzetta privilegiata di Milano» cit.<br />

23

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