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CLAUDIO PIZZI LEZIONI DI FILOSOFIA DELLA SCIENZA a. a. 2010­2011

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Supponiamo di dire che il digiuno di un certo deputato radicale ha causato il<br />

dimagrimento dello stesso. Qual è l’oggetto dotato di poteri che causa tale<br />

fenomeno? Non certo il cibo , a meno che non sia più una battuta dire “lo<br />

zucchero rende il caffè amaro, se non ce lo metti” . Alternativamente, possiamo<br />

dire che il digiuno è una sostanza dotata di poteri? Ma questo significa dilatare<br />

tropo il ventaglio di ciò che gli aristotelici intendono per sostanza. Non<br />

dimentichiamo che Don Ferrante di fronte alla peste di Milano osservava,<br />

seguendo Aristotele, che la peste non era né sostanza né accidente, e quindi che<br />

non poteva esistere. Un sostenitore di una teoria simile a quella di Harrè e<br />

Madden, Mario Bunge, ha liquidato il problema sostenendo che enunciati del<br />

genere necessitano di una complessa parafrasi, ma non dice quale.<br />

Una nozione di causa simile a questa, ma più accettabile per un fisico, sta nel<br />

ridurre la relazione di causa­effetto a quella di trasmissione di una grandezza<br />

(forza, momento, accelerazione…) da un corpo all’altro. Ma il tipo di<br />

controesempio da invocare è sempre lo stesso. Premendo l’interruttore la stanza<br />

da luminosa diventa buia, ma questo si ottiene non con la trasmissione del flusso<br />

di elettricità ma con l’interruzione dello stesso.<br />

Anche le ricerche sulla genesi del concetto di causa non hanno ottenuto un<br />

risultato univoco. Un conto infatti è la genesi nella mente del bambino, altra è<br />

la genesi nella storia della cultura umana. Già nel 1940 il grande giurista<br />

austriaco Hans Kelsen evidenziava che l’origine culturale della nozioni causali è<br />

di tipo etico­ giuridico. La parola “causa” (cfr. l’espressione “far causa a uno”)<br />

indica “il responsabile”. I primitivi vedono nella natura una lotta tra gli elementi<br />

della natura in cui viene perturbato l’equilibrio naturale. Il principio di causalità<br />

non è altro che una proiezione sulla natura del principio del contrappasso (cioè<br />

che la pena deve essere una vendetta proporzionata alla colpa): allo stesso modo<br />

in cui la vendetta adeguata ripristina l’equilibrio sociale, l’effetto adeguato<br />

ripristina l’equilibrio naturale.<br />

Ora quest’idea della natura come sistema in equilibrio sotto spinte differenti è<br />

vicina all’immagine che gli economisti danno oggi dei sistemi economici. Essi<br />

sono rappresentabili come modelli (sistemi di equazioni) in cui alcune variabili<br />

(p.es. salari) sono da considerare non influenzate da altre che dipendono dalle<br />

prime, e quindi ne sono l’effetto. Grazie a particolari espedienti matematici<br />

(studiati p.es. da Blalock e Simon) si riesce inoltre a dare un senso preciso<br />

all’idea di feed­back, cioè alla retroazione delle variabili­effetto sulle variabili­

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