Imp. Di Guardo

corso di una riunione della “Consulta Comunale”, il commissario
Gaetano Infantino, negò spudoratamente la liquidazione
della parcella. Una bugia grossolana per cui chiesi subito le
sue dimissioni.
Un clamoroso fiasco su tutti i fronti. I signori del comitato
d’affari lo sapevano bene ed erano lì pronti a farsi nuovamente
avanti. Sindaco e assessori della vecchia giunta, ogni giorno
che passava, riprendevano fiato.
L’ex assessore Zappalà riaprì la sua segreteria politica, l’ex
sindaco Saglimbene aveva, come sempre, il suo “ufficio” ad
uno dei tavoli del bar Carciola, ai quattro canti. Davanti a lui
sfilava tutto il paese. “Qual è il problema, amico mio? … Niente
paura, dia a me le carte e penso a tutto io… Che volete farci,
ormai è questione di poco, quando ci saremo nuovamente noi
al comune tutto tornerà a posto”. “Calati juncu ca passa la china”.
Abbassarsi, piegarsi per lasciare scorrere su di sé l’ondata
di piena e rialzarsi lentamente dopo i giorni duri, quando come
una valanga arrivano le accuse, gli attacchi; i giorni in cui sembra
che la gente abbia aperto gli occhi, abbia preso coraggio
sotto i riflettori dei mass media. Il tempo, si sa, aggiusta tutto,
fa capire che i padroni della politica sono sempre lì. Si
riaffacciano prima timidamente, fanno finta di niente, parlano
d’altro. Si fanno vedere sempre più spesso, riconquistano metro
dopo metro le posizioni dalle quali sembravano irrimediabilmente
precipitati.
“Quelli di prima, certo, avevano le loro magagne – diceva
la gente – ma almeno potevamo parlare con loro… stavano a
sentirci, ci davano soddisfazione, anche se poi ci facevano contenti
e gabbati”.
L’impossibilità di avere uno scambio, una comunicazione
con i tre commissari alimentava la rabbia e l’ostilità nei loro
confronti.
La gente era giunta all’esasperazione. Così, dopo l’incredibile
episodio del comandante Verzì, Padre Condorelli decise di
mettere in campo una singolare forma di protesta, per chiedere
l’allontanamento di quello che per tutto il paese era il “vigile
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