Imp. Di Guardo

intrecciata con verghe d’oleastro. Ad un certo punto interrompevano
il lavoro di raccolta, si sedevano accanto alla cesta e
davano la poppata, attaccandosi il bambino al seno, per riprendere
il lavoro subito dopo.
Sono stati anni che mi hanno insegnato cosa sia la sofferenza.
Non la mia, che era ben poca cosa, ma quella di un intero
paese.
Misterbianco alle quattro del mattino era già vuota. La gente
si riversava nelle strade. Partivano intere famiglie per andare
a lavorare. Si viaggiava sui carri, sui muli e a piedi, con la
zappa sulle spalle, portandosi dietro moglie e figli. Si camminava
per otto o dieci chilometri, nel migliore dei casi, per arrivare
nelle aziende più vicine. Molti però andavano a lavorare
giù verso la “Piana di Catania”.
I braccianti in bicicletta partivano per lavorare “a giornata”.
Non si guardava l’orologio. La regola era assai semplice. Allo
spuntare del sole i braccianti dovevano trovarsi “all’antu”, il
limite cioè del terreno che ancora rimaneva da zappare. Si lavorava
ininterrottamente sino al tramonto, quando si riprendeva
la via del paese.
Nelle stagioni di raccolta arrivava gente anche da paesi assai
lontani. La sera trovava ricovero nei fienili. Dormiva tra la
paglia divorata dalle pulci. C’era gente che veniva a lavorare
solo per il pane. Chi coltivava le fave, veniva spesso pagato a
“setti cu una” 7 , una regola che prevedeva che per ogni sette
chili di fave raccolte, un chilo andasse al bracciante.
Al mattino lungo le strade che portavano fuori dal paese, si
vedeva una fila interminabile di carri. Era un’intera società che
si metteva in cammino. Persino il parroco, se voleva avvisare
di una funzione o di un ritiro di perseveranza, come quelli organizzati
da Padre Buccheri, doveva alzarsi alle quattro e lanciare
a quell’ora i suoi avvisi ai fedeli.
7 Di tutto il raccolto, sette parti andavano al proprietario del terreno ed una
al contadino.
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