Imp. Di Guardo

LA POLITICA
L’esperienza universitaria coincise con l’inizio del mio rapporto
con la politica. Fin da ragazzo ero rimasto affascinato
dalla piccola politica paesana e dalla capacità oratoria che si
esprimeva nei comizi durante le campagne elettorali. Andare a
sentire un comizio era per me come andare alla festa o in piazza
la domenica. Restavo coinvolto al punto che spesso, il giorno
dopo, mi ritrovavo a ribattere, a modo mio, alle argomentazioni
dell’uno o dell’altro oratore. La paziente mula, sulla quale
mi recavo a lavorare, e l’indifferente campagna erano il mio
grande pubblico.
Quasi nessuno in paese leggeva i giornali.
I comizi si tenevano in piazza della Repubblica. Ricordo
ancora gli scontri fra Salvatore Gennaro, un capopolo comunista
che per 17 anni è stato sindaco di Misterbianco, e il preside
Natale Motta, il segretario della Dc, famoso in paese per le sue
“filippiche” che lanciava contro il comunismo russo parlando
ad una piazza piena di contadini come se avesse davanti Stalin
in persona.
La battaglia politica allora era solo uno scontro ideologico.
I problemi del paese passavano sempre in secondo piano. Tutto
era concentrato sui grandi fatti internazionali e nazionali.
Era grottesco vedere i leader paesani accapigliarsi sulla politica
dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti.
I comizi del Pci, ad esempio, finivano sempre con un appello
alla massa dei braccianti: “Avanti con questa grande ideologia
– urlava dal palco Salvatore Gennaro – che fu di Marx, di
Lenin e di Togliatti…”. Dopo il comizio un grande corteo di
braccianti, cantando “Bandiera rossa”, riportava in sezione la
bandiera del partito. Era quella la forza che permetteva al Pci
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