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Imp. Di Guardo

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Fu in quei giorni che il prefetto Salazar propose al comitato<br />

per l’ordine e la sicurezza, non so in seguito a quali segnalazioni,<br />

di sottopormi ad una scorta costante. A quel punto i miei<br />

movimenti diventarono veramente difficili. Il servizio di tutela<br />

affidato all’ufficio scorte era molto più preciso e puntiglioso di<br />

quello che veniva svolto dalla volante. Ogni mio spostamento<br />

non poteva svolgersi senza la presenza della scorta. Persino<br />

per andare a prendere un caffè al bar sotto il mio ufficio, dovevo<br />

essere seguito dai ragazzi della scorta. Lo stesso se mi spostavo<br />

con la famiglia, se andavo al cinema. Non esisteva luogo<br />

dove mi potessi recare senza avere qualcuno con me. Una dimensione<br />

alla quale è difficile abituarsi e con la quale è difficile<br />

convivere.<br />

Lo è stato per me, ma forse lo è stato maggiormente per la<br />

mia famiglia. I miei figli all’inizio avevano una sorta di rispettoso<br />

timore nei confronti di quegli uomini, delle loro enormi<br />

pistole che spuntavano da sotto le giacche e i giubbotti. Il primo<br />

a reagire a modo suo fu Antonio, il penultimo dei miei figli<br />

che allora aveva 12 anni. Passato il primo momento, per lui i<br />

ragazzi della scorta divennero dapprima oggetto di curiosità,<br />

poi di vanteria con gli amici e con i compagni di scuola. Si<br />

vantava di conoscere bene quegli uomini che andavano in giro<br />

con la pistola per difendere suo padre. Si sentiva un po’ poliziotto<br />

anche lui.<br />

<strong>Di</strong>verso l’atteggiamento di Salvo, il mio secondogenito che<br />

avrei perso dì a qualche mese, strappato via da una tremenda<br />

malattia.<br />

Aveva 17 anni e frequentava il liceo Spedalieri di Catania.<br />

Teneva nascosto il fatto che il padre si trovasse a vivere sotto<br />

scorta con un pudore che nasceva dalla serietà e dalla grande<br />

capacità di misura che, nonostante la giovanissima età, aveva<br />

maturato. Nessuno tra i suoi insegnanti o i suoi compagni seppe<br />

mai del tipo di vita che facevamo fin quando un giorno, per<br />

evitargli lo stress del viaggio in pullman, non passai a prenderlo<br />

a scuola. La presenza dell’auto di scorta mise un po’ in allarme<br />

i bidelli e i professori. Salì in auto con l’aria imbarazzata.<br />

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