Imp. Di Guardo

difficoltà; non sapeva come rispondere, perché non sapeva che
Paolo Arena era il potere politico che ha aperto alla mafia le
porte del municipio. Ho qui i documenti, le prove, le registrazioni,
le ho portato tutto il materiale che ho già fatto avere al
giudice”.
Mi accorsi che Bocca mi studiava, cercava di capire chi diavolo
fossi. Forse pensava di avere di fronte il solito matto che,
di tanto in tanto, si presenta in tutte le redazioni di giornali.
Prendeva tempo. Mi raccontava di un suo viaggio in gioventù
sull’Etna per il trofeo sciistico in memoria del duca di Misterbianco.
Tagliai corto: “Le voglio raccontare come si manifesta,
nel governo di un comune, il rapporto fra la mafia, la politica
e gli affari, la triade che governa tutto in Sicilia”.
Iniziai il racconto. Bocca prese carta e penna.
Quando uscii pioveva a dirotto. Chiamai un taxi per tornare
a Linate. Pensai che quel viaggio forse non era servito a nulla.
Ero, lo confesso, alquanto deluso. Il giornalista mi era sembrato
un po’ perplesso. Non avevo avuto l’impressione che fosse
rimasto colpito dalle storie che gli avevo raccontato. Forse lo
avevo riempito di troppi fogli, delibere, date, nomi, chiarissimi
per me, ma che potevano solo frastornare un osservatore
esterno. Salii sul taxi scontento e un po’ arrabbiato. Il conducente
era un giovane siciliano di Randazzo. Mi distrasse dai
miei pensieri raccontandomi di Milano. “Qua a Milano i socialisti
stanno devastando la città. Le famiglie Craxi e Pillitteri
hanno creato un sistema feudale. La gente non ne può più e
non passerà tempo che qualcosa accadrà… qualcosa che li travolgerà
tutti”.
Avevo incontrato un tassista con il dono della profezia.
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