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c) i DI italiani ricoprono una posizione di assoluta<br />

preminenza nel commercio internazionale, sia<br />

in settori di grandi e medie dimensioni (ad<br />

esempio <strong>il</strong> mob<strong>il</strong>io, <strong>il</strong> tess<strong>il</strong>e‐abbigliamento, le<br />

calzature, le macchine per imballaggio, i<br />

rubinetti, ecc.) sia in decine di settori di nicchia<br />

(ad esempio i bottoni, le forbici, le macchine<br />

per l’industria vitivinicola, le guarnizioni in<br />

gomma, le selle per bicicletta, ecc.).<br />

Nel dibattito spesso confuso sui DI in Italia di questi<br />

ultimi anni sono quasi sempre emerse posizioni<br />

nettamente “schierate”, pro o contro. C’è chi ha<br />

esaltato <strong>il</strong> ruolo dei DI e chi invece ha fatto ricadere<br />

sui medesimi colpe che invero essi non meritano.<br />

A nostro avviso è certamente sbagliato pensare<br />

che l’Italia possa affrontare le sfide economiche e<br />

tecnologiche del futuro facendo leva soltanto sulla<br />

risorsa tradizionale dei DI, come è frequentemente<br />

avvenuto in passato in vari periodi. Ma è stato ed è<br />

altrettanto sbagliato cercare nei DI e nelle<br />

specializzazioni tradizionali del nostro sistema<br />

produttivo di cui i DI sono attori di primo piano <strong>il</strong><br />

capro espiatorio per alcune frag<strong>il</strong>ità strutturali del<br />

sistema Italia, che hanno ben altre motivazioni. Ad<br />

esempio, durante la diffic<strong>il</strong>e fase economica<br />

europea del 2001‐2005 e di rallentamento della<br />

dinamica dell’export nazionale che vi ha fatto<br />

seguito, c’è chi ha addossato in modo semplicistico<br />

ai DI la perdita di competitività dell’Italia e la<br />

responsab<strong>il</strong>ità della scarsa presenza del nostro<br />

Paese nei settori più innovativi e meno esposti alla<br />

concorrenza dei Paesi emergenti, mentre è del<br />

tutto evidente che tale mancata specializzazione<br />

dipende principalmente dal declino della grande<br />

impresa e da politiche industriali sbagliate del<br />

passato.<br />

Figura 4.9 ‐ Indice FONDAZIONE EDISON Export di 101<br />

principali distretti industriali: 1999‐2008Dinamica delle<br />

esportazioni cumulate degli ultimi 4 trimestri(m<strong>il</strong>iardi di euro a<br />

prezzi correnti)<br />

Fonte: elaborazione <strong>Fondazione</strong> Edison su dati Istat<br />

ITALIA –Geografie del nuovo made in Italy ‐ 53<br />

Dal 2005 alla prima metà del 2008 l’export dei<br />

principali DI italiani, misurato dall’indice della<br />

<strong>Fondazione</strong> Edison (vedi figura 4.9), ha raggiunto<br />

nuovi record storici che hanno smentito<br />

clamorosamente le previsioni di declino dei DI<br />

formulate da alcuni studiosi ed analisti negli anni<br />

scorsi. La profonda crisi dell’economia mondiale<br />

cominciata nell’ottobre 2008, con l’esplosione<br />

della bolla immob<strong>il</strong>iare e finanziaria americana,<br />

avrà comunque un impatto prevedib<strong>il</strong>mente molto<br />

negativo anche sull’export dei distretti industriali<br />

nel corso del 2009 e forse del 2010. Di ciò occorre<br />

tenere conto senza riproporre nuovi inut<strong>il</strong>i<br />

catastrofismi o previsioni di declino.<br />

Il numero di DI in Italia varia enormemente a<br />

seconda degli autori e delle definizioni adottate, da<br />

un minimo di poco più di 50 a poco meno di 200.<br />

L’Istat, ad esempio, considera ufficialmente 156<br />

Distretti 4 .<br />

Ma cosa s’intende esattamente per “Distretto<br />

industriale”? Man mano che è cresciuta<br />

l’attenzione per questo fenomeno e per le sue<br />

connessioni con la specializzazione italiana<br />

nell’industria leggera, grazie in particolare all’opera<br />

di studiosi come Giacomo Becattini e Giorgio Fuà,<br />

sono state coniate varie definizioni e varianti di<br />

“Distretto”, talvolta generando confusione: si è<br />

parlato anche di “cluster”, di “sistemi locali”, di<br />

“sistemi locali del lavoro distrettuali”, di “sistemi<br />

produttivi locali”.<br />

Secondo la definizione ormai classica di Becattini<br />

un “Distretto” è “un’entità socio‐territoriale<br />

caratterizzata dalla compresenza attiva, in un’area<br />

territoriale circoscritta, naturalisticamente e<br />

storicamente determinata, di una comunità di<br />

persone e di una popolazione di imprese<br />

industriali. Nel distretto, a differenza di quanto<br />

accade in altri ambienti (ad es. la città<br />

manifatturiera), la comunità e le imprese tendono,<br />

per così dire, ad interpenetrarsi a vicenda”.<br />

La definizione di Becattini si applica perfettamente<br />

alle realtà distrettuali italiane, sv<strong>il</strong>uppatesi<br />

soprattutto nelle nelle aree lontane dai grandi<br />

centri metropolitani, nelle province e nelle vallate<br />

del Paese durante gli ultimi 4 decenni del XX<br />

4 L’Istat ha rivisto la geografia e la composizione comunale dei Sistemi<br />

Locali del Lavoro (SLL) in cui è suddiviso <strong>il</strong> territorio italiano, sulla<br />

base dei risultati del nuovo Censimento del 2001. Rispetto alla<br />

classificazione precedentemente in uso derivata dal Censimento<br />

1991, che aveva portato all’individuazione di 784 SLL (di cui 199<br />

definiti “Distretti manifatturieri di PMI”), la nuova classificazione ha<br />

individuato un numero inferiore di SLL, pari a 686, e di “Distretti<br />

manifatturieri di PMI”, pari a 156. Il numero di SLL e di “Distretti” è<br />

inferiore rispetto al 1991 anche per effetto di “accorpamenti”.

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