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crescita assai sostenuti sopra descritti, non<br />

possiamo non parlare di un vero e proprio “boom”<br />

del Terzo Settore in Italia. Oggi possiamo<br />

tranqu<strong>il</strong>lamente stimare in ben oltre 300.000 le<br />

organizzazioni non profit presenti nel nostro Paese,<br />

cioè una ogni 200 cittadini!<br />

La tesi del “boom” senza precedenti è confermata<br />

anche dai numeri delle fondazioni. Sempre nel<br />

2005 l’Istat affermava che ben <strong>il</strong> 54,6% del totale<br />

delle fondazioni nel nostro Paese erano nate dopo<br />

<strong>il</strong> 1995. Se aggiungiamo a questo dato anche <strong>il</strong><br />

numero delle fondazioni nate nel decennio<br />

precedente (1985‐1995) la percentuale sale<br />

addirittura al 75%: cioè 3 fondazioni su 4 in Italia<br />

nel 2005 avevano meno di 20 anni.<br />

Il dato è ancora più interessante se si tiene conto<br />

anche del fatto che, contrariamente al volontariato<br />

e alla cooperazione sociale, le fondazioni nel<br />

periodo considerato non hanno avuto alcuna<br />

revisione normativa promozionale. A questo<br />

proposito vale la pena ricordare che la principale<br />

fattispecie innovativa per le fondazioni, la<br />

cosiddetta “fondazione di partecipazione” è stata<br />

introdotta solo in via interpretativa dalla dottrina<br />

ed è tuttora carente di una specifica previsione di<br />

legge. Tuttavia anche questo fenomeno, oggi così<br />

dinamico, era pressoché inesistente, ed è<br />

praticamente tutto datab<strong>il</strong>e in questi ultimi anni. E’<br />

ipotizzab<strong>il</strong>e peraltro che proprio grazie alle nuove<br />

fondazioni di partecipazione le prossime r<strong>il</strong>evazioni<br />

registrino un ulteriore “balzo” quantitativo visto <strong>il</strong><br />

crescente successo che questo tipo di fondazione<br />

per così dire “ibrido” va riscuotendo per motivi di<br />

ordine pratico/giuridico.<br />

E’ evidente come i dati di crescita del numero di<br />

organizzazioni del Terzo Settore negli ultimi 18 anni<br />

siano impressionanti, ma nel dato complessivo<br />

sono rintracciab<strong>il</strong>i alcuni elementi di grande<br />

interesse anche rispetto ad una macro<br />

segmentazione geografica. L’Istat nel 2003 registra<br />

che in 8 anni le organizzazioni di volontariato sono<br />

cresciute al sud del 263%, quasi <strong>il</strong> doppio della<br />

media nazionale, già comunque eccezionale:<br />

+152%! Anche la cooperazione sociale al sud ha<br />

mostrato performance straordinarie: dal 1999 al<br />

2005 le cooperative sociali sono aumentate quasi<br />

del 60% e nel 2005 Puglia, Sic<strong>il</strong>ia e Sardegna<br />

registravano un numero di cooperative sociali<br />

complessivamente superiore a quello di tre regioni<br />

ben più “blasonate” quali Toscana, Em<strong>il</strong>ia Romagna<br />

e Veneto (1618 contro 1565). Non a caso Sardegna,<br />

Bas<strong>il</strong>icata e Molise occupano tre dei primi 4 posti<br />

ITALIA –Geografie del nuovo made in Italy ‐ 75<br />

nel rapporto fra cooperative sociali e popolazione<br />

residente.<br />

Il dato geografico si inverte se analizziamo le<br />

fondazioni: nel 2005 <strong>il</strong> 65% delle Fondazioni è<br />

localizzato al nord, solo <strong>il</strong> 14% al sud. La forbice si è<br />

allargata notevolmente in poco più 5 anni: tra <strong>il</strong><br />

1999 e <strong>il</strong> 2005 al nord le fondazioni sono<br />

raddoppiate (da 1.737 a 3.065), al sud sono passate<br />

da 572 a 704 (+23%).<br />

4.5.2. Settori di attività del non‐profit<br />

Nel censimento del 1999 l’Istat disegnava una<br />

composizione complessiva degli ambiti di attività<br />

del Terzo Settore che non sembra modificarsi<br />

significativamente negli anni successivi. Su 221<br />

m<strong>il</strong>a organizzazioni allora censite ben 140 m<strong>il</strong>a<br />

sono individuate come operanti in ambito sportivo,<br />

ricreativo, culturale. Ben lontani gli altri settori<br />

come l’assistenza sociale (19 m<strong>il</strong>a organizzazioni),<br />

l’istruzione e ricerca (11 m<strong>il</strong>a), la rappresentanza<br />

d’interessi (15 m<strong>il</strong>a), e la sanità (circa 10 m<strong>il</strong>a).<br />

Altre chiavi di lettura emergono però se si<br />

segmenta l’analisi dei dati raccolti negli anni<br />

successivi nelle tradizionali grandi “famiglie” del<br />

volontariato, della cooperazione sociale e delle<br />

fondazioni.<br />

Questo tipo di analisi è di interesse per la<br />

comprensione del rapporto tra modello<br />

organizzativo e settore di attività che talvolta, ma<br />

non sempre, è indotto dalle caratteristiche<br />

(vantaggi/svantaggi) della normativa vigente ad<br />

assumere questa o quella forma giuridica. Più<br />

spesso invece accade che invece la scelta della<br />

forma giuridica sia frutto di elementi culturali e<br />

tradizionali che meriterebbero di essere<br />

ulteriormente approfonditi e sistematizzati.<br />

Il discorso merita un capitolo a sé rispetto<br />

all’impresa sociale. Per lungo tempo nel nostro<br />

ordinamento l’impresa sociale “per definizione” è<br />

stata esclusivamente la cooperativa sociale in<br />

quanto unica fattispecie non profit inserita nel libro<br />

V del codice civ<strong>il</strong>e. Il legislatore nel tempo aveva<br />

infatti escluso l’imprenditorialità in particolare per<br />

le organizzazioni di volontariato, ignorando<br />

peraltro una situazione di fatto addirittura<br />

preesistente alle stesse normative di settore.<br />

E’ un dato infatti fac<strong>il</strong>mente rintracciab<strong>il</strong>e la<br />

presenza di imprese sociali di fatto nel nostro<br />

Paese. Purtroppo <strong>il</strong> legislatore, da lungo tempo<br />

invischiato su come riformare <strong>il</strong> libro I del codice<br />

civ<strong>il</strong>e, e su come e dove effettuare <strong>il</strong> link con <strong>il</strong> V<br />

libro, continua ad intervenire solo sporadicamente

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