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172 5. Conclusioni Volume LXV n. 1 – Gennaio-Marzo 2011 L’analisi del fenomeno dei senza tetto e dei senza fissa dimora può difficilmente essere risolto attraverso un approccio unidimensionale. La sua complessità ne rende difficile il riporto entro schemi tradizionali, come dimostra anche la “fictio iuris” operata dal legislatore. Pertanto, le tradizionali rilevazioni statistiche, dal censimento alle rilevazioni sulle anagrafi, risultano comunque insufficienti e inadeguate ad una precisa quantificazione di tale popolazione. Tuttavia, l’importanza sociale del fenomeno, e la stretta relazione tra iscrizione in anagrafe e godimento di importanti diritti soggettivi, rende di fondamentale importanza un loro corretto inserimento nell’ambito dei registri anagrafici, attenzione che deve risultare particolare nella predisposizione degli strumenti regolamentari del prossimo Censimento generale della popolazione. Bibliografia Caritas, 2003, Rapporto sulla povertà. Istat, 1998, Anagrafe della popolazione residente, metodi e norme n. 92 P. Morozzo della Rocca, Le nuove regole sull’iscrizione anagrafica dei senza fissa dimora, in Lo Stato Civile Italiano, novembre 2009, pp. 834-841. A. Paolini, Ventiquattromila “fantasmi” un esercito senza fissa dimora, la Repubblica, 17 settembre 2010. G. Del Grande, 2009, Roma senza fissa dimora, collana Grandangolo, Infinito ed. E. Bianchi, 2010, Ogni cosa alla sua stagione, Einaudi. SUMMARY According to the Italian legislation the registration in the civil registers of the people without an address because they are homeless or because they do not have a stable residence. The rules are presented in this work. Moreover, some figures are presented, coming out from the results of a total survey within the 8100 local administrations, in order to count the number of this population. ______________________ Angela SILVESTRINI, primo ricercatore Istat Patrizia GROSSI, tecnologo Istat
Rivista Italiana di Economia Demografia e Statistica Volume LXV n. 1 – Gennaio-Marzo 2011 1. Introduzione DONNE E LAVORO QUALIFICATO IN ITALIA Manuela Stranges, Andrea Filella Il presente contributo analizza la questione di genere in ambito lavorativo e, in particolar modo, affronta il tema della c.d. segregazione verticale, ossia il difficile cammino delle donne verso le professioni apicali. Si cercherà di individuare quali sono le determinanti che consentono o impediscono alle donne di ricoprire le posizioni apicali in ambito professionale. Utilizzando i dati dell’indagine "Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari", condotta dall’Istat negli anni 2004-2005, è stata realizzata un’analisi cross-section avvalendosi di un modello di regressione logistica binaria al fine di predire la probabilità che ha una donna, di età compresa tra 15 e 49 anni (intervallo fecondo), di essere dirigente sulla base di una serie di variabili esplicative demografiche ed economiche di carattere micro. 2. Il lavoro qualificato femminile: alcuni dati per l’Europa e l’Italia L’inserimento delle donne nei ruoli sociali, ed in particolare nel mercato del lavoro, ha seguito sentieri difformi tra paesi e tra i diversi settori di cui si compone l’attività economica. In particolare, il moderato inserimento lavorativo delle donne che si è realizzato negli ultimi anni non è stato accompagnato da un corrispondente loro accesso alle posizioni manageriali di livello “top” (Cancedda, 2002). Per indicare questo fenomeno, si parla di segregazione occupazionale verticale (Hakim, 1992, 1996, 2004), o “glass ceiling” (soffitto di cristallo), termine con cui si fa riferimento alla limitata presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali di imprese ed organizzazioni. I dati forniti da Eurostat (2008) per verificare i cambiamenti nelle posizioni manageriali dimostrano che a livello dell’EU-25 la ripartizione tra le donne e gli uomini è variata leggermente: nel 2000 la percentuale di donne managers era il 30,6% mentre nel 2008 è pari al 32,5%, registrando, quindi, in otto anni un incremento di meno di 2 punti percentuali. Variazioni più consistenti si individuano a livello dei singoli paesi: l’Italia, ad esempio, passa dal 17,3% di donne managers nel 2000 (di ben 13,3 punti al di sotto della media europea del tempo) al 34,7% nel 2008 (2,2 punti percentuali sopra la media). I segnali, come messo in evidenza dai dati, sono certamente incoraggianti ma la partecipazione femminile risulta significativamente più
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