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Spazio e sapere - La Psicanalisi secondo Sciacchitano

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sede. 203 Il punto da ritenere dal punto di vista psicanalitico è l’indebolimento della<br />

funzione dell’Uno. <strong>La</strong> storia della psicanalisi comincia con l’Edipo. Atraverso l’Edipo<br />

Freud esprime in forma mitologica la desitituzione dell’Uno. Dopo Freud il soggetto<br />

non fa più uno con la madre. Lui stesso è privo di centro unificatore. Non ha più<br />

un’anima nel senso aristotelico del termine, ma un apparato psichico suddiviso in<br />

regioni e articolato in funzioni: l’Es desidera; il Super-Io legifera, l’Io media. Oggi<br />

l’attaccamento all’Uno genera accanimento ontologico, di cui l’analista deve temere la<br />

versione moralmente più temibile: l’accanimento terapeutico. 204<br />

Non sto proponendo un programma di pensiero. Dico solo che, passando da una<br />

forma di intelligenza ontologica a una forma più epistemologica, si genera<br />

automaticamente una serie di indebolimenti, che alleggeriscono la pena di vivere: si va<br />

dall’indebolimento dell’uno e dell’essere alla ridistribuzione tra i sessi della differenza<br />

sessuale, delle pretese erotiche, ecc. Per Aristotele la scienza era la forma di pensiero<br />

“retta”, cioè adeguata all’essere. Con Galilei l’adeguamento viene in gran parte meno.<br />

Cosa resta della scienza? Resta una forma di pensiero retta in senso pratico. Resta, cioè,<br />

una saggezza, che noi preferiamo chiamare etica. L’etica della scienza, potrebbe essere<br />

il programma di lavoro della psicanalisi. Un programma che non mi risulta molto<br />

gettonato. Perché?<br />

<strong>La</strong> ragione che mi sembra più plausibile per spiegare il fascino paralizzante dell’uno<br />

sulle menti è il finalismo. Finalismo in atto come ordine cosmico, finalismo in divenire<br />

come evoluzione (o provvidenza), finalismo individuale come tendenza al bene e alla<br />

felicità, finalismo collettivo come imposizione di uno schema di convivenza a un<br />

numero sempre più largo di persone, finalismo sempre e comunque religioso. 205 Il<br />

ragionamento è semplice. Se tutto tende all’uno, l’uno risulta ben fondato e può reggere<br />

il peso dell’essere. In analisi leggiamo il finalismo nell’identificazione: “Se sono come<br />

lui – mio padre – potrò possedere mia madre, a cui tendo”. Oggi abbiamo solo la<br />

scienza per uscire dal pensiero finalistico e dalla religione connessa. <strong>La</strong> porta, però, è<br />

stretta e sbarrata dalla tecnologia, che reintroduce nella scienza un finalismo pratico – la<br />

nefasta “applicazione”, finalizzata agli interessi del padrone. <strong>La</strong> tecnologia ha un nerbo<br />

indistruttibile, perché eredita lo spirito millenaristico, quindi religioso, che promette<br />

all’uomo, diventato il nuovo Adamo, il paradiso in terra. Curiosamente il millenarismo,<br />

con la connessa rivalutazione delle arti pratiche, nacque in ambito ecclesiale, addirittura<br />

monacale. I monasteri cistercensi furono i primi laboratori della moderna ingegneria<br />

dello spirito e dei corpi. Il punto forte della tecnologia è il suo criterio veritativo. Esso è<br />

l’antico e ben collaudato adeguamento dell’intelletto alla cosa. <strong>La</strong> novità apportata dalla<br />

tecnologia, non è teorica ma pratica. Consiste nel manipolare le condizioni di vita del<br />

soggetto e “la cosa” che sperimenta nel mondo, affinché alla fine tutto quadri e<br />

l’adeguamento trionfi. Chi non si adegua perirà. <strong>La</strong> visione è apocalittica a rovescio:<br />

vincerà il mondo e perirà il soggetto. Cui non resta che aggrapparsi alla voce<br />

dell’intelletto che, diceva Freud, “è debole, ma non si dà pace, finché non ha trovato<br />

ascolto”.<br />

203<br />

A. <strong>Sciacchitano</strong>, L’ “unfinito”, ovvero l’uno, gli uni e l’infinito, “aut aut”, 283-284, 1998, p.<br />

81.<br />

204<br />

Dal punto di vista del personalismo sostanzialista di stampo cattolico la morte è la perdita<br />

dell’unità della persona. L’accanimento terapeutico si giustifica come difesa dell’unità della<br />

persona. Ricordiamo che “persona” non è vocabolo freudiano.<br />

205<br />

Sulla teleologia come verità della religione si è a lungo intrattenuto <strong>La</strong>can in <strong>La</strong> scienza e la<br />

verità. <strong>La</strong> vérité y est renvoyée à des fins qu'on appelle eschatologiques, c'est-à-dire qu'elle<br />

n’apparaît que comme cause finale, au sens où elle est reportée à un jugement de fin du monde.<br />

(J. <strong>La</strong>can, Ecrits, Seuil, Paris 1966). Grazie a <strong>La</strong>can possiamo fare un passo più in là e<br />

rovesciare il discorso, affermando che sotto la causa finale è sempre rimosso un dio.

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