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Spazio e sapere - La Psicanalisi secondo Sciacchitano

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narcisistici, quando il soggetto rimane rinchiuso nella propria ontologia, senza sporgersi<br />

verso altro diverso da sé, accontentadosi della propria autoidentità.<br />

Con l’avvento del soggetto della scienza – in pratica con il cogito cartesiano –<br />

l’ontologia decade dal trono metafisico e l’epistemologia assume la direzione della<br />

soggettività. Il soggetto esiste perché sa (precisamente, perché sa dubita del proprio<br />

<strong>sapere</strong>), non perché è. Propriamente, l’ontologia è un prodotto residuale del cogito<br />

cartesiano. È un residuo destinato alla follia. <strong>La</strong> follia è, ma non sa di essere. Prima di<br />

Cartesio la follia è furia o melanconia. Dopo Cartesio diventa intellettuale, cioè<br />

paranoia. (Ci sarebbe qui da indagare sui rapporti tra conoscenza paranoica e prima<br />

critica kantiana). L’assenza della funzione paterna è immediata e automatica in regime<br />

ontologico. Perché l’essere è e il non essere non é. Tale affermazione metafisica è la<br />

madre di tutti i deliri. L’essere non ha bisogno di un terzo né di un processo dialettico<br />

per essere generato, tanto meno per transitare verso l’oggetto che non c'è. Gli basta la<br />

propria ontotautologia per esistere (cfr. J. <strong>La</strong>can, Postfazione al Seminario XI ).<br />

Foucault ha ragione una volta e mezza nell’attribuire alla ragione cartesiana la<br />

fuorclusione della follia. <strong>La</strong> ragione cartesiana ci sa fare. Sa operare con il dubbio. <strong>La</strong><br />

ragione folle no. Non ha dubbi la follia, ma convinzioni deliranti. Perciò giustamente<br />

Foucault afferma che la follia è assenza d’opera. <strong>La</strong> follia manca dell’opera epistemica<br />

per transitare dall’incertezza alla certezza. Tuttavia, Foucault non ha tutte le ragioni<br />

nell’attribuire alla ragione cartesiana il gesto fuorclusivo della follia. <strong>La</strong> follia si<br />

autoesclude dalla modernità nel momento in cui decide di rimanere ontologica e di non<br />

diventare epistemica. In tale decisione risiede una connotazione tragica – di verità<br />

estrema e non saputa – che caratterizza la follia moderna. Ma non bisogna lasciarsi<br />

fuorviare dalle apparenze. <strong>La</strong> follia è davvero intellettualmente povera. Manca di<br />

accesso alla cosa epistemica moderna: l’infinito. <strong>La</strong> eteroreclusione del folle è l’assurda<br />

e capovolta immagine dell’autoesclusione della follia dal moderno movimento di<br />

soggettivazione. È stato giusto aprire i manicomi, come è giusto abbandonare nella cura<br />

analitica una formazione reattiva. Ma il problema viene dopo. Esso consiste nell’aprire<br />

alla follia la strada per conquistare la propria soggettività, magari più debole di quella<br />

ontologica che continua a sognare da quattro secoli a questa parte. Come svegliare la<br />

follia dal proprio sogno ontologico? Bisogna solo aspettare che si isterizzi?<br />

Freud mostra di conoscere bene la problematica della follia, quando da nonpsichiatra<br />

propone la migliore classificazione psichiatrica oggi disponibile, distinguendo<br />

tra psiconevrosi narcisistiche e psiconevrosi da transfert. <strong>La</strong> correzione che mi sentirei<br />

di apportare a Freud è puramente terminologica. Chiamerei ontologiche le psiconevrosi<br />

narcisistiche ed epistemiche le psiconevrosi da transfert. Infatti, le seconde, non le<br />

prime, iniziano il loro transfert, cioè il movimento di spostamento soggettivo, con una<br />

supposizione di <strong>sapere</strong> in qualche altro soggetto: l’analista, l’istituzione, l’amante. In<br />

realtà il transfert è sempre movimento curioso del <strong>sapere</strong> verso il nuovo. <strong>La</strong> verità<br />

moderna – questo è il succo della scientificità – è novità senza precedenti. Invece la<br />

moderna follia è vecchia, pur essendo ignota agli antichi. È un fossile ontologico mai<br />

nato, che non sa come uscire dalla propria recinzione narcisistica. Addirittura, non lo<br />

chiede.<br />

IL FANTASMA DEL TORO<br />

Rimettiamoci al lavoro davanti al solito videoterminale che, questa volta, è<br />

organizzato in modo standard: uscendo a destra si rientra a sinistra sullo stesso lato della<br />

mezzeria orizzontale; uscendo dall’alto si rientra dal basso dallo stesso lato della<br />

mezzeria verticale. Il videoterminale così organizzato è un modello (astratto? concreto?)<br />

del toro. Sfruttiamolo per “vedere” un taglio a doppio giro: un taglio, cioè, che faccia

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