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Spazio e sapere - La Psicanalisi secondo Sciacchitano

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esaminata. Il momento di vedere e il momento di comprendere dureranno un po’ più a<br />

lungo.<br />

L’ALTRO NOME DELL’IMPOSSIBILE<br />

C’e un altro nome per l’impossibile. È anche più matematico. Se incontrate un<br />

matematico non chiedetegli: “Come va con l’impossibile?”. Vi fraintenderebbe. Per lui<br />

impossibile significa contraddittorio, senza soluzioni, vuoto. L’impossibile nel senso<br />

lacaniano del termine, come ciò che non cessa di non scriversi, per esempio la parte<br />

decimale di π, riceve in matematica un nome non estraneo, anzi, pertinente al discorso<br />

analitico.<br />

Questa parola non comparve da subito nella storia della civiltà occidentale. I greci,<br />

inventori della dimostrazione matematica, non la conoscevano neppure. Al suo posto<br />

usavano una perifrasi, to on, l’ente. In compenso, “impossibile” lo dicevano in due<br />

modi: adùnatos, nel senso di mancanza del poter essere, e amèchanos, nei sensi di<br />

impotenza o impraticabilità. L’assetto semantico della loro lingua impedì ai greci di<br />

riconoscere l’impossibilità concettuale là dove si presentava, ad esempio nella<br />

risoluzione con riga e compasso di particolari problemi: la quadratura del cerchio, la<br />

trisezione dell’angolo, la duplicazione del cubo. Per il greco queste erano occasioni,<br />

sempre mancate, di dimostrare la propria methis. (sagacia). L’impotenza era elevata alla<br />

dignità di impossibilità. Tuttavia, benché i problemi rimanessero impraticabili, i greci<br />

continuavano a sperare che, un domani, la soluzione emergesse, come epifania dell’idea<br />

che eterna brillava nell’Iperuranio. In realtà, l’idea greca di impossibile era imperfetta.<br />

Era ancora antropomorfa, legata al saperci fare dell’artista. Non era ancora l’idea<br />

rigorosamente logica, concernente il logos, enunciazione prima che enunciato. Forse<br />

perché disponeva di soluzioni approssimate, ma non approssimative, il greco<br />

considerava i suddetti problemi come impossibilità di fatto, non di diritto. Nell’ordine<br />

cosmico (“cosmo” vuol dire ordine) l’impossibile è irrazionale: semplicemente non<br />

esiste. ouk estì – non esiste perché ancora in potenza, cioè non passato nell’atto – era il<br />

modo greco per dire l’impossibile. <strong>La</strong> matematica greca fu vittima della restrizione 13<br />

dell’impossibile al non esistente. Dobbiamo arrivare al XVII perché l’inesistente –<br />

innanzi tutto il moto inerziale – acquisti dignità scientifica.<br />

Conoscete la storiella degli Ateniesi che, prima della battaglia inviarono una<br />

delegazione a Delo per trarne 1’oracolo. <strong>La</strong> pitonessa rispose che bisognava duplicare<br />

l’ara d’Apollo, che era un cubo. Non era facile come dirlo. Archita di Taranto,<br />

pitagorico, determinò la soluzione teorica del problema come intersezione di tre<br />

superfici di rotazione: il cilindro, il cono circolare retto e il toro. Successivamente<br />

Diocle costruì una curva meccanica, non algebrica, la cissoide, per risolvere il<br />

problema. Ma la costruzione pratica con riga e compasso restava sempre approssimata.<br />

Si poteva contrabbandare l’approssimazione, ancorché buona, per soluzione esatta? Il<br />

dio si sarebbe accorto dell’inganno? <strong>La</strong> situazione era irritante. <strong>La</strong> sacerdotessa del dio,<br />

pure ignorante quanti altri mai, aveva messo il dito sull’ombelico dell’ignoranza del<br />

tempo. Come lo sapeva? Non lo sapeva. Le pitonesse, si sa, sono speciali nell’applicare<br />

la verità contro il <strong>sapere</strong>. Che dio ce ne scampi.<br />

<strong>La</strong> buona approssimazione. Il greco classico non l’apprezzava. In ciò si distingueva<br />

dai matematici assiri e babilonesi, compilatori di tavole numeriche per i calcoli prati- ci:<br />

13 A volte fertile. Il trauma della scoperta dei numeri irrazionali spinse Eudosso a elaborare<br />

una teoria delle proporzioni, per l’epoca lambiccata e astrusa, tanto che Galilei pensò opportuno<br />

correggerla, ma oggi facilmente inquadrabile nella teoria degli spazi vettoriali a operatori.

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