Spazio e sapere - La Psicanalisi secondo Sciacchitano
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che contribuirono al fiorire di questa disciplina, che è anche un’arte. È l’arte che<br />
promuove altri discorsi. Quale altra arte, oltre la retorica, lo fa? Ieri la scienza, domani,<br />
forse, la psicanalisi.<br />
Tuttavia, c’è una domanda impertinente che rovina l’eleganza dell’opera compiuta.<br />
Appena può il matematico si chiede: “E poi?”, come il bambino che vuole sentirsi<br />
ripetere sempre la stessa storia o come l’analista che non è convinto della ricostruzione<br />
del paziente. Nella domanda “E poi?” risuona l’eco soggettiva della struttura<br />
dell’infinito. Dietro la ripetizione sempre uguale della domanda si intravede<br />
l’infinitezza dell’oggetto del desiderio. Il fascino dell’aritmetica non ha diversa base. Il<br />
nocciolo dell’infinito sta nella contropartita oggettiva della domanda “e poi?”, che è<br />
l’”in più”. Il soggetto sperimenta l’”in più” dell’infinito come novità rispetto al<br />
godimento fallico. 82 <strong>La</strong> regina della matematica, come la chiamava Gauss, deve la sua<br />
seduzione alla stessa fonte di godimento: l'eterna ripetizione dell'identico nel sempre<br />
diverso. L’intera struttura dei numeri interi, l'infinito più semplice che si conosca, si<br />
basa unicamente sul “più uno”: unico e solo significante, che si ripresenta in tutte<br />
presentazioni, che pure si diversificano l’una dall’altra: 1, 2, 3… tanto da giustificare ad<br />
abundantiam la concezione teologica dell’infinito come uno e assoluto. È sempre lui<br />
che si ripete senza cessa, l’uno, ma anche senza mai esaurire l’universo aritmetico, per<br />
farne una cosa sola. Oggi sappiamo che l’aritmetica non è un tutto, lacanianamente è un<br />
non tutto, se con tutto s’intende qualcosa di interamente formalizzato. Esistono ed<br />
esisteranno sempre verità aritmetiche irraggiungibili dall'eterna ripetizione dell'identico.<br />
(Verità batte <strong>sapere</strong> uno a zero. Si accettano scommesse per la partita di ritorno).<br />
E poi, dopo il cilindro? <strong>La</strong> domanda inaugura la trepida attesa del coniglio estratto<br />
dal cappello. <strong>La</strong> sorpresa non è da meno. Continuando a identificare in modo diretto i<br />
lati opposti si ottengono il bitoro dal quadrato, il tritoro dal cubo, l’ipertoro<br />
dall’ipercubo. In questo caso dobbiamo fermarci subito. Poiché nel quadrato le coppie<br />
di lati opposti sono solo due, si ottiene il bitoro. Se fossero tre, come nel caso del cubo,<br />
si otterrebbe il tritoro. Gli altri politori si ottengono da ipercubi in spazi di dimensioni<br />
via via crescenti <strong>La</strong> ripetizione déll'identico è anche questo.<br />
Il bitoro, o semplicemente toro, si chiama comunemente anello. <strong>La</strong> sua formula di<br />
struttura è data dalle due identificazioni dirette dei lati opposti del quadrato (Fig 28).<br />
Fig. 28<br />
Il lato AD va in BC (rispettivamente A va in B e D in C) e il lato AA va in DD<br />
(rispettivamente A va in D e il nuovo A nel nuovo D). Come nel caso della banda di<br />
82 <strong>La</strong>can corregge le elucubrazioni, spesso cervellotiche, di Freud sulla femminilità,<br />
distinguendo due godimenti: fallico e corporeo (o dell’Altro). Il primo, idiota e masturbatorio, si<br />
ripete sempre uguale nella propria finitezza. Il <strong>secondo</strong>, effetto dell’oggetto causa del desiderio,<br />
è supplementare rispetto a quello fallico. Fa agire sul soggetto quell’infinito che il soggetto non<br />
può contenere nei propri apparati cognitivi finiti. Agli albori dell’epoca scientifica, quando<br />
l’infinito dismette le vesti classiche e medievali, rispettivamente di indefinito e di assoluto,<br />
nasce un mito che rappresenta tragicamente l’infinitezza del godimento dell’Altro: il don<br />
Giovanni: