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siciliana

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zione, la ripetizione delle parole e delle forme da esse derivate. Sta di<br />

fatto che in questo sonetto l’adnominatio, la repetitio e le varianti derivative,<br />

raggiungono tali altezze da ottenere una forma di ”meditazione<br />

sfrenata”, che secondo Andrea Cappellano, come risultato della sua<br />

forma irrazionale, diventa genitrice dell’amore stesso. In altre parole<br />

Giacomo da Lentini, soppesando minuziosamente le parole, cerca quel<br />

pensiero poetico che nella sua intensità semantica offre il massimo vigore<br />

possibile. Ciò avviene anche nei numerosi casi in cui – ricorda<br />

Roberto Antonelli – Giacomo mette in discussione la dottrina amorosa.<br />

In questo modo il sintagma poetico non è più mera combinazione di<br />

segni, ma portatore di significato; un significato preesistente alla poesia,<br />

che aspetta di essere portato alla luce dagli studiosi (Landoni 1997:<br />

228). D’altronde la storia della poesia è una storia di creazione di immagini<br />

attraverso le quali è possibile conservare il messaggio e preservarlo<br />

dal pericolo della rivelazione. La scrittura dunque crea nuovi<br />

oggetti: le singole parole espandono il significato ”originale”, generando<br />

complessità.<br />

Se analizziamo il tema dell’insicurezza linguistica del poetaamante,<br />

si solleva un’altra questione: se essi nascondano l’io lirico o<br />

piuttosto le incertezze linguistico-espressive della prima scuola poetica<br />

italiana. Cercando in «Uno disïo d’amore sovente» le ragioni di tali incertezze,<br />

osserviamo che nessuna soluzione è soddisfacente giacché<br />

l’inquietudine non lascia l’innamorato neppure quando il sentimento è<br />

ricambiato: c’Amore è piena cosa di paura;/ e chi bene ama una cosa che teme,/<br />

vive ’nde pene/ che teme no la perda per ventura (vv. 27-30). La riuscita<br />

del rapporto è strettamente legata, tuttavia, alla dichiarazione verbale.<br />

Bisogna osservare che però nell’amante non c’è ancora una libertà tale<br />

da permettergli di parlare in prima persona: ca s’eo in voi troppo isparlo/<br />

non son[o] eo che parlo:/ Amore è che tacente fa tornare/ lo ben parlante, e lo<br />

muto parlare./ Donqua s’Amore non vole ch’eo taccia,/ non vi dispiaccia/<br />

s’Amore è d’uno folle pensamento (vv. 33-39).<br />

I poeti federiciani avvertono un sentimento di paura nei confronti<br />

di una parola che diventa lo strumento con cui Amore manifesta la sua invincibile<br />

superiorità e la fatale inestinguibilità. Di conseguenza i poeti ammettono<br />

da subito la debolezza insita nella parola, l’indicibilità: la fede<br />

nell’indicibilità trasforma a sua volta la parola pronunciata in una parola<br />

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