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che essi ne avevano: maggiore era quella di coloro che avevano dimora<br />
stabile nella corte imperiale e più lunga convivenza con i Siciliani; minore<br />
era invece quella di coloro che con la corte sveva e con i Siciliani<br />
avevano avuto rapporti brevi e saltuari; minore ancora, infine, era<br />
quella di coloro che del siciliano letterario avevano un’esperienza limitata<br />
soltanto alle trascrizioni delle poesie siciliane che erano pervenute<br />
nei luoghi di loro residenza. Il ”Frammento zurighese”, ad esempio,<br />
secondo la maggior parte degli studiosi è passato da Sud a Nord senza<br />
la mediazione dei copisti toscani, presenta tratti linguistici friulani ma<br />
conserva vistosamente elementi siciliani dimostrandoci la capacità del<br />
dialetto insulare di adattarsi facilmente ad altri idiomi della penisola e<br />
la possibilità già discussa di una diffusione delle poesie dei Siciliani<br />
”ex-canzoniere”. Dopo una probabile damnatio memoriae i testi originari<br />
in siciliano vengono portati in Toscana e a Bologna in una nuova dimora<br />
e vita, tra la libera borghesia dei Comuni, a contatto di un’anima<br />
nuova e di un ideale non più feudale e cavalleresco, cedendo, verso la<br />
metà del XIII secolo all’idioma di Firenze.<br />
Per concludere poi non dobbiamo dimenticare l’altra componente<br />
indispensabile della poesia, la semantica. I Siciliani hanno ereditato<br />
dalla lirica occitanica determinati modelli e li hanno emulati senza<br />
discostarsi eccessivamente (come dimostra la compattezza della loro<br />
produzione) aggiungendo di proprio pugno la tendenza all’accumulo<br />
retorico con abbondanza di poliptoti, figure etimologiche e ripetizioni<br />
sinonimiche atti a costruire un patrimonio concettuale e lessicale autonomo.<br />
Esempio paradigmatico di scelta di stile piuttosto che di primitività<br />
grammaticale e lessicale è quello fra la raffinatezza di Giacomo<br />
da Lentini e il tono popolareggiante di Cielo d’Alcamo. Entrambi appartenenti<br />
allo stesso periodo scelgono due sistemi di scrittura diversi<br />
senza scalfire la compattezza di quella che dobbiamo definire l’unica,<br />
vera scuola poetica italiana del Medioevo. L’unica - e la prima - mossa<br />
dalla necessità di fondare un nuovo genere.<br />
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