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Per Giacomo da Lentini amore è considerato nella relazione fra<br />
il ”piacimento” che viene prodotto dall’atto del vedere la bellezza della<br />
donna e che dunque ha sede negli occhi, e il ”nutricamento” (nutrimento),<br />
che viene invece prodotto dalla riflessione amorosa, dall’attività<br />
fantastica del soggetto, dal suo ”spirito vitale”, e che ha sede nel cuore<br />
(Luperini 1999:129).<br />
Questa teoria d’amore è esposta in tenzoni con altri poeti siciliani<br />
e toscani. Nella tenzone con Jacopo Mostacci e Pier della Vigna, in cui troviamo<br />
la spiegazione più chiara di quello che è l’amore per Giacomo da<br />
Lentini, ed in particolare in «Amor è un(o) desio che ven da core».<br />
Il Notaro in una canzone composta in precedenza, «S’io doglio<br />
no e meraviglia», ai vv. 3-4, amor lontano mi piglia/ dogliosa pena ch’io<br />
sento, aveva evidenziato elementi di contiguità con Jafré Rudel circa il<br />
tema dell’ amor de lonh, mettendo dunque in primo piano l’amore lontano<br />
e il conseguente dolore (Bianchini 1996:57).<br />
Nel sonetto «Amor è un(o) desio», sempre nei già citati vv. 5-8,<br />
notiamo anche un allontanamento dalle posizioni rudeliane: l’ amor de<br />
lonh diventa una mera possibilità all’interno del discorso amoroso (Folena<br />
1965-’69:284).<br />
Il vero amore, quindi, è quello che nasce dalla vista, secondo<br />
l’arte de l’amore che sembra presiedere alla composizione dei sonetti.<br />
Andrea a proposito dice:<br />
Caecitas impedit amorem, quia caecus videre non potest, unde<br />
suus possit animus immoderatum suscipere cogitationem, ergo<br />
in eo amor non potest oriri, sicut plenarie supra constat esse probatum.<br />
Sed hoc verum esse in amore acquirendo profiteor: nam<br />
amorem ante cae citatem hominis acquisitum non nego in caeco<br />
posse durare (in Bianchini 1996:58)<br />
La teoria della visio, da cui amore primariamente procede secondo<br />
il dettato di Andrea, occupa di conseguenza la speculazione<br />
medievale con quella sottigliezza di argomenti che lo stesso Giacomo<br />
testimonia in altri quattro sonetti, «Sì come il sol che manda la sua spera»,<br />
«Or come pote sì gran donna entrare», «Lo viso mi fa andare alegramente»<br />
ed, in modo concettualmente spericolato (Damiani 1983:90),<br />
«Eo viso - e son diviso - da lo viso».<br />
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