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siciliana

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zione cominciano la loro attività nel 1220 circa (poco dopo<br />

l’incoronazione di Federico II come imperatore (dal 1198 era re di Sicilia)<br />

e la terminano bruscamente nel 1250 con la morte dello Staufen. Il<br />

tanto discusso nome ”Scuola <strong>siciliana</strong>” invece lo si deve a Dante il quale,<br />

nel De vulgari eloquentia (I, xii, 2-4), definisce l’attività del gruppo 23 .<br />

Ancora, Gianfranco Contini aprendo la sezione della sua silloge<br />

Poeti del Duecento dedicata ai rimatori di Federico II, ci ricorda come la<br />

definizione ”i Siciliani” sia presente anche presso il Petrarca:<br />

60<br />

”I Siciliani”, come dirà Petrarca nel Trionfo d’Amore, è espressione<br />

[per] (…) designare nel loro insieme i nostri primi rimatori<br />

cortesi, i trovatori in volgare d’Italia; insomma, la colonia italiana<br />

della poesia occitanica, parallela, con qualche decennio di ritardo,<br />

alla francese del Nord, al Minnesang, alle cantigas de amor galaico-portoghesi<br />

(Contini 1960:175).<br />

È un dato di fatto che la Scuola poetica <strong>siciliana</strong> nel XIII secolo<br />

gioca un ruolo essenziale nella fortuna dei trovatori: 1) nella diffusione<br />

in suolo italico dei loro lavori; 2) per i calchi linguistici e metrici; 3) per<br />

i casi ben documentabili di traduzione diretta. Leggendo i poeti della<br />

Magna Curia il lettore, anche profano, si accorge della stereotipia di<br />

temi e modi espressivi giungendo a pensare che queste liriche non siano<br />

altro che mere esercitazioni di stile, un pedissequo ricorso alle fonti<br />

francesi. I poeti siciliani sono rimproverati di non aver voluto dare una<br />

rappresentazione drammatica e psicologicamente realistica dei propri<br />

da Sarzana, Arrigo Testa di Arezzo e Compagnetto da Prato. Per finire un genovese,<br />

Percivalle Doria, unico a lasciare una composizione in provenzale.<br />

23 «Comincerò esaminando l’intelligenza nell’esame del siciliano: in effetti questo<br />

volgare sembra avocare a sé una fama superiore agli altri, perché tutto ciò che gli<br />

Italiani fanno in poesia si può dire siciliano e perché conosco molti maestri dell’isola<br />

che hanno cantato con gravità, come nelle celebri canzoni: «Ancor che l’aigua per lo<br />

foco lassi» e «Amor, che lungiamente m’hai menato». (…) tutto ciò che, a quel tempo, i<br />

migliori spiriti italici producevano veniva fuori innanzitutto dalla reggia di cotali<br />

sovrani [Federico e Manfredi, N.d.R.]; e poiché la Sicilia era sede regale, è avvenuto<br />

che tutto ciò che i nostri predecessori composero in volgare si chiama siciliano: cosa<br />

che noi dobbiamo aver per certa e che neppure i nostri posteri potranno mettere in<br />

discussione» (DVE 1995:31; 33).

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