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CAPITOLO II<br />
I RAPPORTI CON LA LIRICA TROBADORICA<br />
Quanto del retaggio trobadorico sull’amore “impossibile” è stato recepito<br />
consapevolmente dai Siciliani, al di là di meticolose traduzioni e<br />
rifacimenti, e soprattutto quali sono i punti di rottura con i modelli<br />
d’oltralpe?<br />
La lirica amorosa medioevale parla, paradossalmente, di assenza<br />
e di frustrazione: in altre parole, l’amore celebrato nel XII e XIII secolo<br />
ha bisogno non della presenza dell’altro ma della sua assenza. Il<br />
tormento dell’amore lontano è indiscutibilmente manifestato nella retorica<br />
con un largo impiego di ossimori - eccezionali evocatori di sospensione<br />
del senso, di paradosso, appunto (l’amar desamatz) - quali le<br />
“dolci lacrime” oppure il “caro soffrire”. Occorre osservare però che<br />
l’Amore Assurdo, il servizio del poeta per nulla ripagato da alcuna<br />
mercede non è novità esclusivamente medioevale, esisteva già nei<br />
grandi poeti latini. Tuttavia nell’età ovidiana è l’effettivo tradimento<br />
femminile ad avvilire il poeta. La distanza fra latini e trovatori si misura<br />
in pratica proprio nella “disonestà” muliebre lamentata dai primi,<br />
nel piacere perverso e realistico di causare e ricevere dolore (algolagnia);<br />
nei trovatori troviamo invece tutto il contrario di questo furioso<br />
erotismo in quanto prevalgono le regole dell’algido gioco cortese (Gigliucci<br />
1990:22).<br />
Ai trovatori, sempre in parole povere, sembra a questo punto<br />
interessare non tanto amare la donna quanto il sentirsi amato. L’amore<br />
impossibile, la tortura deliziosa, un amore “ritardato” fino a perdere di<br />
vista il suo vero soggetto porta necessariamente il poeta a parlare solo<br />
di se stesso. Perfino se un pensiero viene presentato come pensato da<br />
una donna sappiamo come in realtà sia un uomo ad averlo elaborato<br />
per il piacere del proprio pubblico maschile. I poeti federiciani ad esempio<br />
si spingono anche oltre i loro colleghi transalpini<br />
nell’affermare che l’esperienza del poeta-amante è esclusivamente<br />
mentale: Uno disïo d’amore sovente/ mi ten la mente (Giacomo da Lentini,<br />
«Uno disïo d’amore sovente», vv. 1-2). La donna, già oggetto nella poesia<br />
cortese provenzale, è a volte messa da parte da Giacomo da Lentini<br />
per far posto allo sviluppo di metafore o di immagini, specie nelle<br />
tenzoni in cui vero protagonista è Amore in quanto tale.<br />
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