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Alma Poloni «ISTA FAMILIA DE FINE AUDACISSIMA ...

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nerale Consiglio, congregazione e università di tutti e singoli i cittadini e gli<br />

uomini da Fino abitanti a Fino, Onore, Rovetta e Somas» 163 . L’uso di riunirsi<br />

per sbrigare gli affari della parentela rafforzava senza dubbio il senso di appartenenza<br />

e la solidarietà interna. È però altrettanto significativo il fatto che non<br />

si trattasse di riunioni informali, di quattro chiacchiere in famiglia, ma di veri<br />

e propri Consigli che seguivano norme formali e rituali ben precisi, a imitazione<br />

dai Consigli dei Comuni, e che per di più venivano registrati dal notaio<br />

ufficiale della parentela, Iacobo da Fino, ricorrendo alle formule e al lessico che<br />

i notai usavano per la verbalizzazione delle assemblee comunali. In questo<br />

modo i da Fino si presentavano all’esterno, e pretendevano di essere riconosciuti,<br />

non come una semplice parentela, ma come una vera e propria comunità,<br />

come un Comune, fondato però non su una base territoriale, come tutti gli<br />

altri Comuni nel Quattrocento, ma su una base familiare: un Comune, cioè, che<br />

non era un insieme organizzato di «vicini», di persone insediate sullo stesso<br />

territorio, che vivevano fianco a fianco, ma un insieme organizzato di «parenti»,<br />

di persone appartenenti a uno stesso lignaggio, a una stessa linea di<br />

discendenza maschile.<br />

Questa stessa interpretazione, del resto, è valida anche per la «limitazione»<br />

che i da Fino erano riusciti a ottenere nel 1464. Come si è visto, infatti, con<br />

questa concessione le autorità veneziane riconoscevano alla parentela lo status<br />

di corpo a sé stante, la legittimavano come comunità, come Comune sullo<br />

stesso piano degli altri Comuni della valle, e proprio questo aspetto aveva<br />

provocato la reazione indignata dei «vicini» di Onore. In un momento, la seconda<br />

metà del Quattrocento, nel quale la comunità territoriale stava diventando<br />

l’unica forma accettata di organizzazione delle relazioni umane, i da Fino<br />

cercavano di dare vita a una comunità che non riconosceva la dimensione territoriale,<br />

che anzi non dava alcuna importanza al territorio, perché riuniva<br />

gruppi familiari insediati in località situate in diversi Comuni.<br />

Ma al centro della strategia di consolidamento dell’identità della parentela<br />

ci fu la fondazione della Misericordia di Fino. Il Consorzio della Misericordia<br />

di S. Maria dei Nobili da Fino fu fondata per volere di frate Leone da Fino,<br />

terziario dell’ordine francescano 164 . Un terziario era una persona devota<br />

che, pur conducendo una vita laica, sposandosi e generando dei figli, seguiva<br />

una speciale regola di vita, approvata dalla Santa Sede, ispirata a quella dei frati<br />

francescani. Il 4 giugno del 1459 - dunque proprio nel periodo del quale ci<br />

occupiamo in questo lavoro -, dopo la morte del frate, il nipote Galeazzo, seguendo<br />

le indicazioni testamentarie dello zio, fondò il Consorzio, dotandolo con<br />

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