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una delle sue preoccupazioni principali fu assistere Doris Sauter, malata di cancro,<br />

che ispirò, oltre al personaggio di Sheri in VALIS, anche questo racconto<br />

del 1979. Qui Doris è Rybus Romney, che vive, come altri coloni terrestri, isolata<br />

nella sua cupola su un pianetino del sistema di Fomalhaut. Nella cupola “accanto”<br />

(si fa per dire) vive Leo McVane, burbero supervisore di una serie di apparecchiature<br />

di trasmissione, che approfitta del suo compito per deliziarsi tutto<br />

il giorno ad ascoltare Linda Fox, cantante pop che riarrangia le composizioni<br />

secentesche di John Dowland (già incontrate in Scorrete lacrime). Rybus è malata<br />

di sclerosi multipla, e l’addetto ai rifornimenti (una delle rarissime occasioni<br />

di socializzazione per i coloni) chiede a Leo di andarla a trovare. Il racconto è<br />

tutto qui: Leo, dapprima seccato di doversi occupare di una malata (a Rybus<br />

non piace neppure Linda Fox!), poi scioccato dal disordine e dalla spazzatura<br />

che strabocca nella cupola di lei, si trova attirato a poco a poco nella ragnatela<br />

di una relazione con un altro essere umano, e trova sempre più interesse (ma<br />

non vuole ammetterlo neanche con se stesso) nel poter essere utile a una persona<br />

che la malattia ha reso aspra e anche antipatica, ma ha comunque grandi riserve<br />

di umanità. La prima parte del racconto verrà trasfusa pari pari in Divina<br />

invasione, con Rybus che diventa Rybys, Leo McVane che diventa Herb Asher e<br />

Linda Fox che si troverà a svolgere un ruolo imprevedibile. (A.C.)<br />

Temi: musica e musicisti; kipple; vita/morte.<br />

Chi se lo ricorda → Memoria totale<br />

Colonia<br />

Titolo originale: Colony (1953).<br />

Una variazione su uno dei temi più cari a Dick, quello dell’oggetto e della sua relazione<br />

con l’uomo. Un avamposto di terrestri si trova su un pianeta appena scoperto<br />

(e battezzato Pianeta Azzurro), un pianeta assolutamente incontaminato,<br />

senza pericoli di sorta, qualcosa di simile al giardino dell’Eden, se non fosse che<br />

improvvisamente, all’interno della base, gli oggetti sembrano vivere di vita propria.<br />

Un microscopio cerca di strozzare uno scienziato, un tappeto aggredisce un<br />

capitano, un paio di guanti prendono vita e costringono un uomo a spararsi. Gli<br />

oggetti vengono distrutti, ma poi ricompaiono inerti: si tratta in realtà di una forma<br />

di vita imitativa che produce doppioni assassini. L’unica possibilità di fuga è<br />

quella di aspettare che l’incrociatore in orbita scenda a prendere gli esploratori,<br />

costretti a salire a bordo completamente nudi per esser sicuri di non trascinarsi<br />

dietro nessun doppione. Ma che succede se lo stesso incrociatore è un doppione?<br />

Debitore, nel rovesciamento prospettico finale, al modello di Fredric Brown,<br />

Dick elabora per sua stessa ammissione l’ipotesi (paranoica) del mondo degli oggetti<br />

che si ribella all’uomo, e lo svolge secondo la sua poetica, contaminando fantascienza<br />

e horror: ma lo spazio del racconto non si adegua alla profondità eversiva<br />

dell’ipotesi, e tutto sembra scivolare via in vista della sorpresa finale. (C.A.)<br />

Temi: alieni; realtà/illusione.<br />

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