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Umano è<br />

Titolo originale: Human Is (1955).<br />

Lester Herrick è un individuo egoista, insensibile, dedito solo al proprio lavoro<br />

(inventare tossine per scopi militari), ed è sposato da cinque anni con Jill. L’idea<br />

che il nipote Gus trascorra qualche giorno con loro è sufficiente a farlo infuriare,<br />

ma proprio allora viene mandato in missione per alcune settimane sul pianeta<br />

Rexor IV. Nel frattempo Jill ha deciso di lasciarlo e confida questa decisione al<br />

fratello Frank. Quando Lester torna sulla Terra, però, il suo comportamento è<br />

cambiato: è gentile con Jill, ama il cibo che prima detestava, è scherzoso e simpatico,<br />

perfino romantico, gioca con Gus e vuole portarlo a vivere con loro.<br />

Sembra un’altra persona, ed è quello che scopre Frank: la vecchia “identità” di<br />

Lester è prigioniera su Rexor IV, e dentro il suo corpo c’è un alieno, uno dei pochi<br />

superstiti di un’antichissima razza che sta morendo, esseri di energia che<br />

cercano qualche corpo per sopravvivere. La legge impone che Jill testimoni che<br />

suo marito non è più un essere umano, affinché l’alieno possa essere ucciso e si<br />

cerchi poi la “psiche” di Lester per reimmetterla nel suo vecchio corpo: ma<br />

quando è il momento la donna rifiuta di farlo. Per lei un alieno “umano, troppo<br />

umano” è di gran lunga preferibile a un terrestre che di umano non ha nulla.<br />

L’essenza, l’ousia, dell’essere umano nulla ha a che vedere con la sua forma fisica,<br />

e neppure con la sua storia. Ancora una volta Platone fa capolino nella narrativa<br />

dickiana, e questa volta in compagnia di Agostino di Ippona. Dick lavora<br />

ampiamente con i temi che gli sono caratteristici: i rapporti con i bambini, i genitori,<br />

la possibilità di verificare cosa è umano e cosa non lo è; ma questa volta il<br />

discorso dickiano è tangenziale alla sua abituale poetica, tanto è vero che il racconto<br />

ricorda analoghe indagini che il grande Theodore Sturgeon era solito<br />

compiere in quegli anni, cercando di definire l’umanità e i suoi aspetti buoni e<br />

cattivi. Non è un caso neppure che negli anni Cinquanta diverse pellicole giocassero<br />

il confine tra umano e non umano sulla possibilità che l’alieno creasse<br />

un “doppio” del corpo dei terrestri, prendendone in seguito possesso: basti<br />

pensare agli Invasori spaziali di William Cameron Menzies e a Destinazione...<br />

Terra di Jack Arnold, entrambi del 1953, o al celebre L’invasione degli ultracorpi<br />

di Don Siegel (1956) e a Ho sposato un mostro venuto dallo spazio (1959) di Gene<br />

Fowler jr. Nella cinematografia d’epoca il riconoscimento avveniva tramite la<br />

“disumanità” dell’alieno, cioè la sua freddezza, la mancanza di empatia, di forme<br />

ludiche, di affettività; in Dick avviene invece attraverso la disumanità dell’umano,<br />

rovesciando così completamente l’assunto di base. Più di vent’anni dopo<br />

la scrittura del racconto, Dick rivendicava la sua intuizione: ciò che definisce<br />

umano un ente e lo differenzia dagli altri è la dolcezza che lo permea. (C.A.)<br />

Temi: alieni; donne; gioco; matrimonio; polizia; realtà/illusione.<br />

Un mondo di geni → Il mondo dei mutanti<br />

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