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e gli obiettivi di quello più forte, invece di perseguire la propria unità<br />

come sistema” (ibid.).<br />

Il confronto suggerito dalla Hayles tra l’impostazione di Maturana e<br />

l’opera di Dick consiste in una nuova centralità dei rapporti tra interno<br />

ed esterno, che non sono dati più o meno stabilmente una volta per tutte,<br />

ma sono oggetto di negoziazione e di conflitto fra i sistemi: “La lotta<br />

per raggiungere una condizione autopoietica può essere interpretata<br />

come una disputa sui confini in cui una parte reclama la posizione privilegiata<br />

‘esterna’ di un’entità che definisce i propri obiettivi, mentre costringe<br />

la parte opposta ad assumere la posizione ‘interna’ di una componente<br />

allopoietica incorporata in un sistema più vasto. Lavorando su<br />

linee di pensiero apparentemente indipendenti, Dick comprese che nel<br />

tardo ventesimo secolo il modo in cui vengono definiti i confini sarebbe<br />

diventata una questione centrale nel decidere ciò che deve essere considerato<br />

‘vivo’” (ivi, p. 161).<br />

La figura dell’androide (o dell’“androide schizoide”, come propone<br />

di chiamarlo Hayles) è dunque una figura chiave nella crisi del soggetto<br />

e dei suoi rapporti con la realtà come si è concretamente delineata nell’ultima<br />

parte del ventesimo secolo, costantemente impegnata a ridefinire<br />

i confini tra interno ed esterno, tra vivente e meccanico, tra naturale<br />

e artificiale. Una figura che è stata centrale nella narrativa e nella riflessione<br />

di Dick fino a che egli non decise di trasferire gran parte delle<br />

problematiche che lo avevano sempre travagliato all’ombra più impegnativa<br />

(ma non per questo più risolutiva) di → Dio.<br />

archetipi → psicoanalisi<br />

armi → guerra; tecnica<br />

arte<br />

Anche se non sapessimo nulla della sua vita, l’amore di Dick per la letteratura,<br />

per la musica e per la filosofia apparirebbe chiaro dall’imponente<br />

numero di citazioni e richiami a poeti, romanzieri, musicisti e filosofi<br />

che troviamo nei suoi libri (molto più nei romanzi di → fantascienza<br />

che in quelli mainstream). Non si può dire lo stesso per le arti visive, che<br />

fanno poche (anche se significative) comparse nella sua opera. Eppure<br />

verso i dodici-tredici anni Phil Dick aveva dimostrato grande passione<br />

per il disegno e l’arte in genere. Il padre Edgar, quando negli anni Cinquanta<br />

Phil cominciò a fare lo scrittore, si meravigliò che non fosse invece<br />

diventato un artista (Sutin 1990, p. 53).<br />

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