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Vol. 4 – Anno 2012 – Numero 4 La realtà della finzione <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />
unicorno, la parola sembra sempre avere la capacità di riferirsi all’oggettività in questione.<br />
Questo per Ingarden è possib<strong>il</strong>e, nella misura in cui la parola contiene nella propria unità<br />
di significato un fattore di direzione intenzionale, che le consente di direzionarsi verso un<br />
certo, specifico oggetto. Tale intenzionalità tuttavia non appartiene originariamente alla<br />
parola, quanto piuttosto all’atto di coscienza coinvolto, che in un certo senso “presta” alla<br />
parola la propria intenzionalità. Lo stesso avviene rispetto alla direzionalità della<br />
proposizione, quale oggetto di ordine superiore costituito dalla connessione di più parole:<br />
l’intenzionalità della proposizione non è ugualmente originaria, ma «presa a prestito» 9<br />
dall’atto di coscienza autenticamente intenzionale.<br />
Ma che cos’è di fatto una “proposizione”? Ingarden definisce la proposizione come <strong>il</strong><br />
correlato intenzionale di operazioni soggettive, costituito da una struttura a duplice strato:<br />
lo strato sonoro-linguistico e lo strato dei contenuti di senso. Se <strong>il</strong> nome e <strong>il</strong> verbo, presi<br />
singolarmente, si dirigono verso oggettività individuali puramente intenzionali, la<br />
proposizione è diretta a uno specifico stato di cose, che va distinto dallo stato di cose<br />
oggettivamente esistente. Mentre lo stato di cose puramente intenzionale è<br />
ontologicamente dipendente dall’atto intenzionale coinvolto, lo stato di cose realmente<br />
sussistente è invece ontologicamente autonomo, costituendosi come l’oggetto colto da<br />
una proposizione vera. La proposizione risulta dunque <strong>il</strong> correlato intenzionale di<br />
operazioni soggettive, da cui emerge come un «tutto chiuso» 10 , oggettività nuova<br />
irriducib<strong>il</strong>e ai contenuti di significato delle parole singole che contiene.<br />
Se quindi è dall’atto intenzionale che la proposizione trae la propria origine, sarà sempre<br />
un atto intenzionale a modificarla o perfino ad annientarla. In effetti, basta una semplice<br />
inversione delle parole al suo interno per privare di senso una proposizione: una<br />
proposizione come “tavolo sul sta libro <strong>il</strong>” non rivela alcuno stato di cose intenzionale.<br />
Un’opera che contenesse unicamente proposizioni di questo tipo perderebbe <strong>il</strong> proprio<br />
strato oggettivo e non si ridurrebbe ad altro che a un mucchio di parole 11 . In quanto<br />
soggette a modifiche e alla possib<strong>il</strong>ità di essere annullate, le proposizioni non possono<br />
dunque essere definite oggettività ideali esistenti da sempre e per sempre. Piuttosto, le<br />
proposizioni dell’opera letteraria, poiché sono portate all’esistenza da atti intenzionali<br />
soggettivi, si configurano come oggettività eteronome, che non hanno in sé <strong>il</strong> proprio<br />
fondamento ontologico.<br />
Poiché la proposizione non è necessariamente rivolta a qualcosa di esistente, a oggetti o<br />
situazioni reali, è possib<strong>il</strong>e formulare proposizioni false o, cosa che ci interessa ora,<br />
finzionali. Ingarden definisce le proposizioni coinvolte nell’opera di finzione di natura<br />
“quasi-giudicativa”, nella misura in cui non si configurano come giudizi veri e propri, che<br />
pretendono di dire qualcosa di “vero”. Le proposizioni dell’opera letteraria, piuttosto,<br />
9 Ibid., p. 171.<br />
10 Ibid., p. 179.<br />
11 Ibid., p. 413.<br />
Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />
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