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Vol. 4 – Anno 2012 – Numero 4 La realtà della finzione <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />
in se stessa e nella relazione con l’essenzialità cede al tempo, ecco che tale essenzialità,<br />
che tale idealità si estranea da sé e dall’uomo, ed avviene allora che «solo la forma dello<br />
spaesamento trascendentale dell’idea, la forma del romanzo, accoglie nella serie dei suoi<br />
principi costitutivi <strong>il</strong> tempo» 30 . Il tempo, osserva ancora Lukács, «può diventare costitutivo<br />
solo a condizione che sia venuto meno <strong>il</strong> nesso con la patria trascendentale» 31 . Nella<br />
prospettiva ingardeniana, invece, gli oggetti dell’opera letteraria hanno <strong>il</strong> carattere<br />
dell’“eteronomia ontologica”: essa «comporta che <strong>il</strong> tempo, che fa parte del mondo<br />
rappresentato, […] sia solo un analogo del mondo reale» 32 . Stante i confini ontologici che<br />
separano la realtà – del mondo, del soggetto, delle relazioni intersoggettive – dalla quasirealtà<br />
dell’opera, tra la temporalità che contraddistingue quest’ultima e quella del reale vi<br />
sarà una relazione non di identità, ma di analogia. È questo <strong>il</strong> cardine della trattazione che<br />
Ingarden fa del tempo nel paragrafo che si sta prendendo in esame, ed è un cardine che<br />
l’autore ribadisce più volte, sino alla conclusione del paragrafo, laddove afferma<br />
l’importanza delle argomentazioni sostenute ai fini di mostrare come «nello strato<br />
oggettivo dell’opera vi sia qualcosa come <strong>il</strong> tempo rappresentato» 33 . I presupposti<br />
ontologici del discorso di Ingarden si danno a vedere nel momento in cui egli spiega: «<strong>il</strong><br />
mondo rappresentato ha l’origine della sua essenza e della sua apparenza solo in un<br />
numero finito di proposizioni» 34 .<br />
Se <strong>il</strong> romanzo lukácsiano è, come si è visto, una configurazione del mondo reale, l’opera<br />
d’arte letteraria di Ingarden è un oggetto intenzionale, prodotto dagli atti di coscienza di<br />
un soggetto, eppure dotato di una quasi-realtà specifica, che si realizza in essa nei quasigiudizi<br />
di cui è costituita. Ma che tempo reale e tempo dell’opera non siano lo stesso non<br />
implica che Ingarden li pensi come contrassegnati da modalità radicalmente altre:<br />
all’autore interessa invece osservare quali siano le dinamiche, le modalità, comuni ad<br />
entrambi. Egli r<strong>il</strong>eva quanto le fisionomie fenomeniche dei due tempi hanno in comune.<br />
Dopo degli esempi relativi a fenomeni propri del tempo reale egli osserva: «per noi è<br />
importante soprattutto che tali fenomeni siano possib<strong>il</strong>i anche nel tempo soggettivo<br />
rappresentato e che spesso siano rappresentati» 35 . Nel tempo rappresentano si<br />
trasferiscono dunque relazioni e fenomenicità tipiche del tempo reale. Questo aspetto<br />
essenziale della prospettiva di Ingarden – l’aderire dell’articolazione interna dell’opera a<br />
una temporalità che presenta aspetti e dinamiche comuni a quelli del tempo reale –<br />
ricorda la coessenzialità tra la forma del romanzo e <strong>il</strong> tempo delineata da Lukács nel suo<br />
testo. In esso l’autore ungherese scrive che «solo nel romanzo […] <strong>il</strong> tempo è posto<br />
30 Ibid., p. 114.<br />
31 Ibid. p. 115.<br />
32 R. Ingarden, L’opera d’arte letteraria cit., p. 328.<br />
33 Ibid., p. 335.<br />
34 Ibid., pp. 329-330.<br />
35 Ibid., p. 332.<br />
Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />
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