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Vol. 4 – Anno 2012 – Numero 4 La realtà della finzione <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

«Il tempo si abbassa […] sino a divenire uno schema vuoto, che ci permette solo di<br />

orientarci nella successione temporale degli avvenimenti appena accennati» 5 . Il tempo<br />

costituisce, per così dire, uno schema vuoto, una cornice di riempimento in cui si<br />

articolano le vicende di un’opera.<br />

A uno sguardo più attento, lo schema sembra assumere in Ingarden una funzione assai<br />

più strutturale, non riducib<strong>il</strong>e a una forma vuota di riempimento, vale a dire quella di<br />

mediazione e passaggio tra la potenzialità infinita delle possib<strong>il</strong>i determinazioni alla<br />

selezione di un tutto, composto solo da alcune determinazioni ma che, all’atto formato, è<br />

organico e unitario. Quest’unità organica, che mantiene grazie alla struttura schematica<br />

una potenziale apertura a ulteriori determinazioni, è la finzione stessa. Proprio a Ingarden<br />

va, a mio avviso, riconosciuto <strong>il</strong> merito di indagare la funzione strettamente epistemica<br />

dello schema nell’ambito della finzione.<br />

2. Origini della nozione di “schema” in Ingarden<br />

La prima questione che s’intende porre rispetto all’uso che Ingarden fa della nozione di<br />

schema è da dove essa derivi e in quale orizzonte egli la sv<strong>il</strong>uppi. La questione delle<br />

origini ci porta apparentemente fuori da L’opera d’arte letteraria, anche se in realtà pone<br />

in evidenza quanto la questione dello statuto degli oggetti finzionali rientri innanzitutto<br />

nell’ambito della teoria della conoscenza.<br />

L’uso della nozione di “schema” è connesso al problema dell’apparenza (Erscheinung),<br />

come rappresentazione unitaria a livello astratto ma parziale nella sua concretezza, ed è<br />

fondamentale per Ingarden <strong>il</strong> quale, sin dalla sua dissertazione su Henri Bergson e dai<br />

primi scritti fenomenologici, introduce questa nozione sempre nell’orizzonte della Critica<br />

della ragion pura kantiana, facendo riferimento sia alla distinzione tra intelletto e<br />

intuizione sia alla questione del Ding an sich. Lo schema assicura per Kant <strong>il</strong> livello minimo<br />

della percezione, condizione dell’esperienza e della costituzione del significato. La critica<br />

che Ingarden muove a Kant è di non aver sv<strong>il</strong>uppato – scrive nella Grundlegung der<br />

Erkenntnistheorie – «un’analisi immanente dell’esperienza percettiva e dell’esperienza<br />

della conoscenza delle qualità pure ideali» 6 . Questa critica si muove nell’orizzonte teorico<br />

delle critiche che già f<strong>il</strong>osofi come Maimon, Herder, Hamann, avevano avanzato contro<br />

Kant rispetto alla realtà finzionale sia delle intuizioni sia delle categorie – introducendo da<br />

un lato degli aspetti strettamente simbolici e metaforici nella conoscenza, dall’altro (in<br />

particolare Herder) una prospettiva sensualista rispetto allo sv<strong>il</strong>uppo del pensiero<br />

concettuale. Ingarden non si riferisce a questi autori né sembra interessato a riferirsi<br />

5 Ibid., p. 334.<br />

6 R. Ingarden, Zur Grundlegung der Erkenntnistheorie, in Gesammelte Werke, vol. 6.1., Niemeyer, Tübingen<br />

1996, p. 362.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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