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Vol. 4 – Anno 2012 – Numero 4 La realtà della finzione <strong>Fogli</strong> <strong>Campostrini</strong><br />

trattazione è quella della finzione» 14 . E questo è <strong>il</strong> discrimine fondamentale – entro una<br />

certa prospettiva – tra la trattazione ingardeniana e quella di Lukács. Il raffronto che si<br />

condurrà tra <strong>il</strong> paragrafo dell’Opera d’arte letteraria sul “Tempo rappresentato e le<br />

prospettive temporali” e <strong>il</strong> citato capitolo lukácsiano è appunto volto a individuare questo<br />

discrimine, a osservare tale differenza, quale essa si mostra nella questione del tempo,<br />

ovvero nella diversa considerazione che i due autori hanno della temporalità, attraverso<br />

quella che è propria dell’opera letteraria e del romanzo. Detto altrimenti <strong>il</strong> tempo si offre<br />

come una dimensione in cui la considerazione di stampo fenomenologico di Ingarden e<br />

quella di Lukács, che è rivolta alla connessione essenziale del romanzo con <strong>il</strong> reale e con<br />

l’ideale (con <strong>il</strong> piano generale delle forze e delle realtà storico-sociali da una parte, di<br />

quelle essenziali e ideali dall’altra) emergono nel loro distinguersi l’una dall’altra.<br />

D’altronde, e si giunge così a ciò che motiva e origina l’idea del confronto tra i due testi, le<br />

trattazioni del tempo condotte dai due autori rivelano interessanti affinità, che nascono<br />

dall’origine comune – o, meglio, da una delle origini – di entrambe: la concezione della<br />

durata temporale, la durée, di Henri Bergson. Si vedrà come entro queste stesse affinità,<br />

nella ricezione e nell’elaborazione delle idee bergsoniane, si mostrino nei due autori delle<br />

differenze, che si originano naturalmente, oltre che dalle differenti interpretazioni che i<br />

due riservano al concetto di “partenza” di Bergson, anche dalle specifiche concezioni<br />

f<strong>il</strong>osofiche di entrambi, nella composita origine che le contrassegna.<br />

La posizione di Ingarden sulla temporalità che contraddistingue l’opera letteraria si<br />

presenta con chiarezza in apertura del paragrafo citato del suo testo. Presupposto<br />

dell’affermazione dell’autore è quanto egli ha già spiegato nello stesso capitolo cui<br />

appartiene <strong>il</strong> §36, vale a dire <strong>il</strong> capitolo VI, facente parte della seconda sezione dell’opera,<br />

dedicato alle oggettività rappresentate nell’opera letteraria. Scrive Ingarden – nel §33 –<br />

che «nel caso delle oggettività rappresentate vi è solo un habitus esteriore di realtà»;<br />

esse, prosegue l’autore, «conformemente al loro contenuto – appartengono al tipo delle<br />

oggettività reali e tuttavia non compaiono dall’inizio come tali da essere “radicate”’ nel<br />

mondo reale e trovarsi autonomamente nello spazio e nel tempo» 15 . Le oggettività<br />

rappresentate, dunque, hanno un contenuto pari a quello delle oggettività reali, ma uno<br />

statuto ontologico differente: esse sembrano reali, ma non lo sono. L’autore, richiamando<br />

i quasi-giudizi costitutivi dell’opera letteraria descritti nel §25, parla di una «caratteristica<br />

del “quasi”» 16 pertinente a tali oggettività: esse sono non reali, ma quasi-reali. È dopo<br />

aver posto queste premesse che Ingarden può aprire <strong>il</strong> §36 affermando: «se gli oggetti<br />

rappresentati sono del tipo degli oggetti reali, si trovano […] in un tempo proprio,<br />

rappresentato, che dobbiamo distinguere sia dal tempo “oggettivo” del mondo reale, sia<br />

14 Ibid., p. 12.<br />

15 R. Ingarden, L’opera d’arte letteraria cit., p. 310.<br />

16 Ibid., p. 311.<br />

Rivista online della <strong>Fondazione</strong> <strong>Centro</strong> Studi <strong>Campostrini</strong> ‐ Verona – Italy<br />

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