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Michael Tobias | 282<br />
come invece avevamo pianificato. Non c'erano così tanti libri che avrei<br />
voluto leggere.<br />
"Perché l'ha fatto?" mi chiese uno psichiatra, proprio così, in una<br />
visita privata. Akira pensava che se avessi cercato aiuto, volontariamente,<br />
la mia posizione ne sarebbe uscita rafforzata.<br />
Volevo soltanto urlare. Non perché volessi dichiararmi incapace di<br />
intendere e di volere - mai - ma realmente e veramente per urlare. Perché<br />
le domande e le mie risposte erano del tutto prevedibili. In realtà, non<br />
c'era niente che potessi dire. Urlare, sì. Dire, no. Come se fossi stato crocifisso<br />
dal di dentro, dal mio stesso irreversibile deposito di note mentali<br />
e sensazioni, ed ecco che arriva quest’individuo imperturbabile, intoccabile,<br />
scolastico, razionale dalle-nove-alle-cinque, chiedendosi se c'è<br />
qualcosa che mi turba. Quando iniziò? Dove potrebbe finire?<br />
"C'è stato qualche evento scatenante?" continuò lo psichiatra, raggiungendo<br />
nuove vette del banale, spingendomi, sono certo se ne rendesse<br />
conto, verso un territorio buio e pericoloso. "O qualche persona<br />
che l'abbia spinta a farlo?"<br />
Circa una settimana prima dell'inizio del processo, accadde qualcosa<br />
di molto strano. Non riesco ancora a spiegarlo, non più di quanto un<br />
uomo possa sapere come il mondo lo vede, o come davvero appare, o<br />
davvero è. Mi arrivò in forma di semplice messaggio - rivelatore,<br />
distratto, una luce che penetrava dalla finestra, una telefonata, o un telegramma,<br />
forse era una lettera o solo il pensiero di essa. Una visione<br />
nella notte, un deja vu una mattina - di un perfetto estraneo, una nuova<br />
voce dentro di me, che mostrava la possibilità di far stare tutti bene. Che<br />
c'era una via d'uscita, dopotutto. Non per i milioni di animali già morti<br />
- sarebbero rimasti morti dentro di me, per sempre - ma per gli altri,<br />
quelli ancora vivi, un mondo ancora pieno di piccoli Bart, e anatroccoli,<br />
e un'orda di fratelli mentalmente instabili. Gente che combatte contro<br />
ogni agonia, ogni giorno. Brave persone, persone tristi, anche persone<br />
felici, o almeno che riescono a mostrare una faccia felice... Alcune<br />
di loro stavano vivendo la propria vita sotto mentite spoglie, in un certo<br />
Tempio dei Ratti in Rajasthan.<br />
Proprio così.<br />
"Chi sei?" incalzai, l'unico bambino in me che sospettava di tutti.<br />
"Cosa mi stai raccontando?"<br />
Sentii davvero le parole? Lessi il messaggio? O semplicemente mi<br />
incoraggiai con altre invenzioni? Dopo quella notte di illuminazione<br />
in galera, dovrei concludere che fosse vera quest'ultima ipotesi. Ma<br />
non ha importanza, ora.<br />
Devo ammettere che avevo in mente l'India per diverse ragioni; le<br />
La Legge di Felham | 283<br />
sue mucche, il suo vegetarismo; un posto, immaginavo, che avrebbe<br />
assorbito ogni eccentricità o fede, anche un fuorilegge come me. E forse<br />
questa mia India era come Iyura. Come quando mi innamorai di lei e non<br />
pensavo a nient'altro che a lei e avrei fatto qualsiasi cosa pur di stare con<br />
lei. Attraversato continenti, sopportato i folli, sconfitto nemici.<br />
Akira, dopo averci studiato un po' sopra, non fu molto chiaro sull'esistenza<br />
di leggi di estradizione tra l'India e gli USA, specialmente se<br />
c'era la religione di mezzo. Ma me lo sconsigliò fortemente.<br />
Ne accennai a Iyura. Beh, feci qualcosa di più che solo un accenno.<br />
La preparai per la conversazione.<br />
"Cosa c'è, lì?" domandò con fervore. Immaginavo che non avrebbe<br />
mai lasciato San Francisco, ma non intendevo abbandonare il matrimonio<br />
senza almeno offrirle questa possibilità. La prigione era fuori questione.<br />
Non avrei proprio potuto sopportare di vivere in una gabbia, non<br />
più di quanto possa sopportarlo un pollo.<br />
"E' un tempio indù di marmo bianco nel deserto," spiegai. "Molto<br />
bello, immagino. Pieno di pace. E pieno di migliaia di ratti che gli indù<br />
locali hanno venerato come dei per secoli. E li nutrono. E naturalmente<br />
sono domestici, anche giocherelloni. Nessuno è mai stato morso.<br />
Solo qualche dito dei piedi mordicchiato ogni tanto." Il rosicchiare le<br />
dita dei piedi mi aveva colpito.<br />
"Ma qual è la ragione di tutto ciò?" chiese mia moglie, non sapendo<br />
se ridere o piangere.<br />
"Beh, evidentemente credono che un giorno i ratti verranno reincarnati<br />
in persone e che gli indù diventeranno ratti. Un po' come il dottor<br />
Dolittle. E il ciclo continuerà per sempre."<br />
Con mia sorpresa, Iyura rise. Doveva essere stato l'accenno al dottor<br />
Dolittle, che, mi disse, aveva letto da bambina in giapponese. Tutta<br />
la mia apprensione sulla sua possibile reazione si dissipò da quel<br />
momento. Si rivelò essere qualcosa di simile a un Samurai dei diritti<br />
animali, quando gliene fu offerta la possibilità - e pensare che non avevamo<br />
mai discusso dei miei problemi. Non avevo avuto il coraggio di<br />
far uscire alla luce del sole gli spettri dentro di me. Non con lei, né con<br />
nessun altro. Avevo vissuto nella vergogna, nel panico, nell'orrore e<br />
nello scandalo, fino al momento della mia liberazione, quando uscii e<br />
acquistai un'arma. Ma lei si rivelò orgogliosa di quanto avevo compiuto,<br />
o immaginato, o sperato di fare. Mi innamorai nuovamente di lei. Il<br />
che non implica necessariamente un lieto fine. Mio fratello maggiore<br />
poteva essere stato un miraggio, ma non gli animali. Non la loro sofferenza<br />
colossale, che scuoteva il mondo.<br />
Iyura non sapeva bene cosa fare per la mia guerra interiore, quando