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La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo

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le immaginare a quali aggiustamenti sarà soggetto, come esito dei nuovi equilibri<br />

economici, sociali e politici che inevitabilmente finiranno per emergere ed affermarsi.<br />

<strong>La</strong> terza considerazione è di carattere sociale e si riferisce alla natura stessa del<br />

modello sociale europeo. A tale proposito va detto subito che con tale modello siamo<br />

di fronte ad uno strumento, teorico e pratico, che riguarda, certo, le politiche<br />

sociali e l’organizzazione del sistema di welfare; ma per i significati sempre più ampi<br />

che la stessa Unione Europea ha finito per riconoscergli, soprattutto dal 2000 ad<br />

oggi, riguarda l’intero processo di sviluppo. In sostanza, con il modello sociale europeo<br />

siamo di fronte ad un vero e proprio modello di sviluppo, incardinato su<br />

precisi principi: l’efficienza nell’impiego delle risorse umane e materiali di cui una<br />

società dispone, la sostenibilità economica, sociale e ambientale dello sviluppo, la<br />

responsabilizzazione e partecipazione di tutti gli attori <strong>della</strong> crescita alle scelte fondamentali.<br />

In quanto modello economico-culturale-politico, esso esprime quindi<br />

la visione di uno sviluppo equilibrato, solidale, democratico. Sul piano pratico il<br />

modello sociale europeo promuove iniziative che riguardano, certo, le tutele e le<br />

assistenze sociali, ma in termini più ampi riguardano il sistema dei diritti di un cittadino<br />

e <strong>della</strong> sua famiglia ad una crescita dignitosa, di un lavoratore a partecipare<br />

alle scelte aziendali; interpreta le politiche sociali come politiche produttive promuovendo<br />

la ricerca di un equilibrio tra produzione e distribuzione <strong>della</strong> ricchezza<br />

per rispondere in tal modo alla duplice esigenza <strong>della</strong> efficienza economica dell’<strong>etica</strong><br />

solidaristica, persegue la sostenibilità dello sviluppo sulla base di una scelta di razionalità<br />

finalizzata ad evitare che un sistema arrivi a dei punti di rottura causati<br />

dall’eccessivo impoverimento delle persone, da fenomeni diffusi di disagio, precarietà<br />

e insicurezza sociale.<br />

Questa interpretazione del modello sociale europeo è sancita nel trattato di Lisbona<br />

del 2007, entrato in vigore nel 2009, che regge attualmente la vita dell’Unione<br />

Europea. Esso è il punto di arrivo di un processo evolutivo, durato decenni,<br />

nel corso del quale si è via via riconosciuto un valore sempre più grande alla <strong>politica</strong><br />

sociale, dalla funzione secondaria e di supporto alla <strong>politica</strong> economica dei primi<br />

anni <strong>della</strong> vicenda comunitaria, fino alla svolta <strong>della</strong> strategia di crescita Lisbona<br />

2000 che l’ha riconosciuta come un fattore essenziale dello sviluppo. Infine, il<br />

suo inserimento nell’ultimo trattato dell’Unione, con l’adozione <strong>della</strong> cosiddetta<br />

“clausola sociale” e l’affermazione, nell’articolato, che quello europeo è un sistema<br />

fondato su una “economia sociale di mercato”.<br />

UE: il Trattato di Lisbona 2007 e la “clausola sociale”<br />

Marco Ricceri<br />

In Europa, il riferimento generale a cui collegare la costruzione di un equilibrio<br />

tra sviluppo economico e sociale è segnato dai principi e dalle azioni che per-<br />

Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011<br />

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