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La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo

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Joaquín Navarro-Valls<br />

manda iniziale, riguardante la disgiunzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, finisce per essere, in<br />

tal modo, una concessione gratuita all’onnipotenza del potere. È piuttosto facile,<br />

in fin dei conti, comprendere la mentalità che ha determinato lo scenario attuale,<br />

vale a dire l’istinto ad abbandonarsi all’illusione che la <strong>politica</strong> sia una limitata arte<br />

di governo, una scaltra strategia simile a quella tenuta dal Principe di Niccolò Machiavelli,<br />

il quale si cingeva solo a gestire gli interessi di tutti, senza voler giudicare,<br />

cambiare e giustificare il valore di nessuno.<br />

Mi pare che dovremmo dire no a questo insano pessimismo. Opporci all’idea<br />

che tutto si risolva unicamente in pragmatismi senza finalità. <strong>La</strong> <strong>politica</strong> non è<br />

l’amministrazione del possibile, ma l’arte dell’impossibile, ossia l’ingegnosa volontà<br />

di cambiare le cose presenti e migliorare nel futuro quanto non va. Ecco perché,<br />

su questo sfondo, il rapporto tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong> non può più accettare delle<br />

squallide soluzioni di continuità, delle contrapposizioni insanabili. L’unione di <strong>etica</strong><br />

e <strong>politica</strong> deve divenire, ad ogni buon conto, il segno tangibile di un’opposizione<br />

frontale al relativismo, malattia ormai perfino noiosamente insopportabile.<br />

Anche nel passato, d’altronde, vi erano coloro che giudicavano la <strong>politica</strong><br />

un’attività indegna, un modo rapido in cui poter eseguire strategie spregevoli per<br />

raggirare efficacemente i più deboli. Vi erano ad Atene perfino dei maestri che insegnavano,<br />

già nel IV secolo a. C., la professione di persuadere e di ingannare le<br />

masse: erano i Sofisti. Platone, all’inizio <strong>della</strong> Repubblica, fa cenno a questa deriva<br />

patologica, che non diversamente si trova oggi frequentemente, mettendo in bocca<br />

al personaggio Trasimaco la definizione di ‘opportunismo’ più famosa di tutti i<br />

tempi: <strong>La</strong> giustizia è l’interesse del più forte.<br />

D’altronde, se non esistono più riferimenti superiori, cui attribuire, indirizzare<br />

e mo<strong>della</strong>re le azioni, è chiaro che il giusto e il vero diventano espressioni esclusive<br />

<strong>della</strong> prestanza, <strong>della</strong> abilità comunicativa, <strong>della</strong> prepotenza. E chi governa finisce<br />

nel baratro <strong>della</strong> capziosità. Il potere diviene, insomma, un assoluto e incontrollato<br />

idolo, una specie di nuovo “vitello d’oro”, cui affidare irresponsabilmente il<br />

proprio destino. Ecco così avverarsi l’incubo del completo relativismo. L’<strong>etica</strong> e la<br />

<strong>politica</strong> appaiono definitivamente staccate tra loro poiché, come spiegava bene<br />

Anassagora, “solo l’individuo è misura di tutto”.<br />

Etica e Politica<br />

Con ciò siamo giunti ad una prima importante conclusione, che rimanda alla<br />

domanda iniziale: qual è il genere di <strong>etica</strong> che può essere applicato correttamente<br />

alla <strong>politica</strong>. Se la sfida, riguardante la distinzione tra <strong>etica</strong> e <strong>politica</strong>, deriva principalmente<br />

da un atteggiamento relativista, secondo cui il bene è il predominio<br />

esclusivo del più forte o del più sagace, allora ogni individuo è misura arbitraria di<br />

ogni cosa, non vedendo più nulla oltre se stesso. Evidentemente, abbiamo a che fa-<br />

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Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011

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