La dimensione etica della politica - Istituto Luigi Sturzo
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Marco Ricceri<br />
contraddizione con le stesse analisi condotte dalla Commissione negli anni passati.<br />
Ad esempio: a) con le analisi dei profondi cambiamenti <strong>della</strong> società europea svolte<br />
nel 2007 per l’aggiornamento <strong>della</strong> Agenda sociale europea, b) con il riferimento ai<br />
possibili scenari futuri indicati nel piano per Guidare la ripresa in Europa, del 2009;<br />
c) con il richiamo alla necessità di recuperare il primato <strong>della</strong> <strong>politica</strong> negli indirizzi<br />
dei programmi di sviluppo – cioè di una visione d’insieme ed un sistema di valori<br />
orientativi – contenuto nella stessa presentazione <strong>della</strong> strategia EU 2020.<br />
I molteplici aspetti del degrado sociale<br />
Se l’applicazione del ben noto indice Gini sulle disuguaglianze (indice adottato<br />
dalle Nazioni Unite) è in grado di mettere in luce un elemento di debolezza<br />
strutturale del sistema economico e sociale europeo, le analisi sociologiche mettono<br />
in evidenza la profondità delle trasformazioni dei valori coesivi e identitari, che<br />
orientano la vita degli individui e delle comunità, l’influenza ed i limiti <strong>della</strong> cultura<br />
individualista, il timore diffuso delle diversità.<br />
In queste condizioni di cambiamento strutturale, gli interventi correttivi soprattutto<br />
dal lato del mercato del lavoro e dal lato dell’efficienza e sostenibilità finanziaria<br />
dei servizi sociali, possono senz’altro fornire un valido contributo al recupero<br />
di determinati aspetti del disagio sociale diffuso e fare in modo che l’adattamento<br />
del lavoro alla nuove condizioni dello sviluppo (ad esempio in termini di<br />
flessibilità e qualificazione) sia vissuta anche positivamente.<br />
Ma è proprio quanto accade nel mondo del lavoro – un esempio emblematico<br />
– che offre indicazioni utili sul tipo di interventi ben più complesso e di più ampio<br />
respiro che bisognerebbe promuovere a livello europeo.<br />
Alle migliaia di giovani che in ogni Stato membro vivono quotidianamente gli<br />
aspetti negativi <strong>della</strong> flessibilità, ciò che viene meno, con la fonte di reddito, è<br />
qualcosa di ben più alto valore: la certezza <strong>della</strong> propria identità sociale, la possibilità<br />
di organizzare al meglio la propria esistenza, di sentirsi partecipe di una comune<br />
esperienza positiva, di guardare con fiducia al futuro. Sono tutti elementi collegati<br />
al patrimonio conoscitivo e culturale <strong>della</strong> persona, alla validità dei valori etici<br />
su cui è basata la sua vita, alla concezione stessa che ha <strong>della</strong> vita.<br />
Questo è il motivo per cui la precarietà sociale, l’aspetto negativo <strong>della</strong> flessibilità<br />
lavorativa, viene coniugata nei termini più diversi tra loro: il punto di partenza<br />
dell’analisi può essere benissimo la precarietà lavorativa, originata nei luoghi <strong>della</strong><br />
produzione. Ma il fenomeno assume un significato più preciso quando si considera<br />
la sua trasformazione in precarietà professionale (legata all’impoverimento del bagaglio<br />
conoscitivo), in precarietà economica (collegata, al limite, alle condizioni di<br />
povertà), in precarietà sociale (collegata alla caduta <strong>della</strong> mobilità sociale), in precarietà<br />
esistenziale (collegata alle difficoltà di formulare un progetto di vita). È su<br />
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Civitas / Anno VIII - n. 2-3 - Maggio-Dicembre 2011