Giorgio Marincola e la missione “Bamon” - Istituto per la storia della ...
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pianura - consentirono a Giachetti <strong>la</strong> costruzione<br />
di un complesso fotografico eterogeneo,<br />
sviluppatosi con lentezza e ricco di sottoinsiemi<br />
tematici.<br />
L’ingresso in Vercelli scardinò tempistiche<br />
e scenari, obbligando il fotografo a misurarsi<br />
con realtà inedite, condensate in una ridotta<br />
dimensione spazio-temporale: in due settimane,<br />
l’uscita dal<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ndestinità, il raggiungimento<br />
del capoluogo di provincia come<br />
traguardo finale, il reinserimento repentino<br />
nel<strong>la</strong> società civile. E, a mutare ulteriormente<br />
il quadro in cui era solito agire, <strong>la</strong> nascita<br />
del sodalizio professionale con il cugino fotografo<br />
Adriano Ferraris (che durante <strong>la</strong> vicenda<br />
resistenziale aveva “deposto” l’apparecchio<br />
<strong>per</strong> concentrarsi sul ruolo di partigiano<br />
combattente), con cui fondò l’agenzia<br />
Fotocronisti Baita. In quei giorni si verificò<br />
quindi un vero e proprio ribaltamento: da una<br />
pluralità di elementi narrativi dal sapore minimalista,<br />
penetrati da un singolo sguardo,<br />
si passò a un unico evento corale e straordinario<br />
sondato da due <strong>per</strong>sonalità differenti.<br />
Ciò che <strong>per</strong>ò stupisce, nell’analizzare le<br />
immagini, è <strong>la</strong> loro coerenza formale, <strong>la</strong> sensazione<br />
che vi sia una so<strong>la</strong> regia dietro al<br />
<strong>la</strong>voro di quei giorni, nessuna sconnessione<br />
nel<strong>la</strong> sequenza, nessuna discordanza tecnica.<br />
La motivazione deve allora essere ricercata<br />
nel<strong>la</strong> volontà dei due professionisti di<br />
esercitare una pratica espressiva che da<br />
troppo tempo premeva sul<strong>la</strong> coscienza fotografica<br />
italiana, fondata sul<strong>la</strong> necessità di<br />
abbandonare i codici del<strong>la</strong> retorica, abbattere<br />
le proibizioni di regime e costruire finalmente<br />
una fotografia nuova.<br />
“Lucien” e “Musik”, fotografi e partigiani,<br />
condivisero quindi da protagonisti una sorta<br />
di “doppia” liberazione dai connotati <strong>per</strong>sonalissimi<br />
e leggibili come un palindromo:<br />
all’affrancamento civile dal<strong>la</strong> dittatura e<br />
dall’occupazione corrispose un’emancipazione<br />
intellettuale dai rigidi dettami stilistici<br />
Piero Ambrosio - Laura Manione<br />
del<strong>la</strong> retorica fascista, e viceversa. Ogni azione<br />
stimolò il partigiano a divenire fotografo.<br />
Ogni scatto rammentò al fotografo di essere<br />
partigiano. Insieme approdarono a una fotografia<br />
vissuta più che pensata, riconducibile<br />
essenzialmente al<strong>la</strong> cifra dell’immediatezza.<br />
Certo una condizione tanto inusuale quanto<br />
esaltante non preservò i due giovani autori<br />
da sporadici cedimenti all’autocelebrazione,<br />
ma il godimento assaporato nel fotografare<br />
tutto ciò che colpiva l’occhio, nel<br />
poter camminare tra <strong>la</strong> fol<strong>la</strong> in divisa partigiana<br />
e <strong>per</strong> di più con un apparecchio fotografico<br />
al collo, nel poter legittimamente coltivare<br />
<strong>per</strong> se stessi il mito del fotogiornalista<br />
svinco<strong>la</strong>to da ogni potere, riuscì a <strong>per</strong>meare<br />
di vitalità e franchezza l’intera sequenza.<br />
Resistendo al tempo e rega<strong>la</strong>ndoci, ancora<br />
oggi, una bel<strong>la</strong> immagine di libertà. (l. m.)<br />
Il 25 aprile 1945 - mentre Biel<strong>la</strong> era stata<br />
abbandonata il giorno precedente dai tedeschi<br />
e dai fascisti, che avevano iniziato il ripiegamento<br />
verso il capoluogo - i reparti<br />
partigiani iniziarono le o<strong>per</strong>azioni <strong>per</strong> <strong>la</strong> liberazione<br />
di Vercelli e del<strong>la</strong> provincia. Lasciati<br />
alcuni reparti sul<strong>la</strong> Serra, a protezione di<br />
Biel<strong>la</strong> da truppe nazifasciste eventualmente<br />
provenienti dal<strong>la</strong> Valle d’Aosta, il grosso<br />
del<strong>la</strong> 75 a e parte del<strong>la</strong> 2 a brigata “Garibaldi”<br />
si diressero verso Cavaglià e Santhià; <strong>la</strong> 182 a<br />
brigata verso Vercelli, passando da Santhià;<br />
le brigate del<strong>la</strong> XII divisione si mossero pure<br />
al<strong>la</strong> volta di Vercelli.<br />
La sera del 25 Santhià era libera, anche se<br />
<strong>la</strong> situazione non era ancora sotto controllo.<br />
A Vercelli intanto fin dal mattino era entrata<br />
in azione <strong>la</strong> brigata Sap “Boero”.<br />
Il concentramento di forze nazifasciste nel<br />
capoluogo era consistente: un presidio tedesco<br />
di oltre cinquecento uomini e notevoli<br />
forze del<strong>la</strong> Rsi: <strong>la</strong> brigata nera, soldati delle<br />
divisioni “Monterosa” e “Littorio”, granatieri,<br />
militi del<strong>la</strong> “Muti” e del<strong>la</strong> Guardia nazio-<br />
108 l’impegno