Giorgio Marincola e la missione “Bamon” - Istituto per la storia della ...
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I giorni del<strong>la</strong> raf<br />
ma una stupidata mi ricordo. E quello che<br />
prendeva, devo dirlo, lo dava tutto al<strong>la</strong> parrocchia»<br />
(Anna Maria Crosa Lenz) 133 .<br />
Parziale compendio al<strong>la</strong> <strong>per</strong>sistente fame<br />
sono i rifornimenti alimentari e le mense che<br />
impiantano le aziende. Nelle tessiture, come<br />
al<strong>la</strong> Rivetti di Biel<strong>la</strong>: «In tempo di guerra da<br />
Rivetti c’era <strong>la</strong> mensa. Al mattino portavo il<br />
raminìn 134 e a mezzogiorno andavo là, mangiavo<br />
<strong>la</strong> mia razione in fretta, poi prendevo<br />
il raminìn e andavo a casa, davo <strong>la</strong> minestra<br />
ai ragazzini. [...] Da Rivetti ci davano poi<br />
qualcosa, qualche volta ci davano <strong>per</strong>sino<br />
il formaggio e qualche dozzina d’uova. La<br />
fabbrica era troppo grossa, non è che ci si<br />
potesse proprio togliere <strong>la</strong> fame, ma qualcosa<br />
ci davano. Uno aveva una famiglia<br />
molto grande, tanti figli, non so se sette o<br />
otto, ha portato a casa una ruota intera di<br />
formaggio, <strong>per</strong>ché ce ne davano a seconda<br />
di quanti erano in casa, razionato. Anch’io<br />
ho avuto <strong>la</strong> mia parte. Verdura ce n’era sempre,<br />
anche d’inverno. Abbiamo mangiato<br />
tanti fagiolini e coste da diventare <strong>per</strong>sino<br />
verdi. Un’altra volta ci hanno dato 500 lire<br />
che andassimo a comprarci qualcosa» (Maria<br />
P.) 135 . «In fabbrica, al<strong>la</strong> Rivetti, si andava<br />
al<strong>la</strong> mensa a mangiare <strong>la</strong> minestra o quello<br />
che c’era: ci si portava il secchiellino, si<br />
riempiva e si portava a casa da mangiare al<strong>la</strong><br />
sera. Mio padre, che <strong>la</strong>vorava anche lui da<br />
Rivetti, faceva il turno dalle 6 alle 2, riempiva<br />
il secchiellino di minestra e lo portava a<br />
casa; io, che facevo dalle 2 alle 10, facevo <strong>la</strong><br />
stessa cosa al<strong>la</strong> sera, e così avevamo <strong>la</strong> scorta.<br />
Allora non c’era il frigorifero, c’era <strong>la</strong><br />
giaséra: andavamo a prendere un panino di<br />
ghiaccio al viale e conservavamo <strong>la</strong> minestra;<br />
capitava a volte che anche Rivetti non<br />
potesse dare <strong>la</strong> mensa <strong>per</strong>ché mancavano<br />
gli ingredienti, e allora prendevamo dal<strong>la</strong><br />
nostra “scorta”, scaldavamo e <strong>la</strong> mangiavamo,<br />
magari dopo una settimana» (Piera Riboldazzi)<br />
136 .<br />
Al<strong>la</strong> Fi<strong>la</strong> di Coggio<strong>la</strong>: «Poi anche in fabbrica<br />
hanno fatto degli accordi: ogni tanto<br />
macel<strong>la</strong>vano, facevano <strong>la</strong> mensa con <strong>la</strong> minestra,<br />
<strong>la</strong> davano a mezzogiorno o nel<strong>la</strong> mezz’ora,<br />
secondo i turni che facevamo. Ma<br />
questo già un po’ più avanti, forse già nel<br />
’44» (Adriana Mina) 137 .<br />
Al<strong>la</strong> siderurgica Cobianchi di Omegna:<br />
«Mi ricordo che si andava a prendere <strong>la</strong> minestra<br />
in fondo al <strong>la</strong>minatoio. Andavamo<br />
con i secchi e uno guardava sempre dentro<br />
<strong>per</strong> vedere se ce n’era di più. Se era un po’<br />
solida, <strong>per</strong>ché non si sa cosa c’era dentro<br />
in quel<strong>la</strong> minestra, bastava averne» (Enrico<br />
Strigini). «Nel ’42 ho dovuto impiantare <strong>la</strong><br />
mensa al<strong>la</strong> Cobianchi. Si è costruito il fabbricato,<br />
avevamo le cucine con pentole capienti<br />
<strong>per</strong> centocinquanta razioni e si faceva<br />
<strong>la</strong> minestra due volte al giorno, <strong>per</strong>ché<br />
c’erano i turni e gli o<strong>per</strong>ai che finivano il turno<br />
si portavano a casa <strong>la</strong> minestra. Tutti i<br />
giorni confezionavamo sulle ottocento minestre<br />
da un litro, un litro e mezzo, che portavamo<br />
in giro con dei secchielli di alluminio<br />
commissionati al<strong>la</strong> ditta Fratelli Cane. Molti<br />
o<strong>per</strong>ai poi, specialmente donne, dentro a<br />
quel secchiello portavano a casa il carbone,<br />
<strong>per</strong>ché erano senza carbone <strong>per</strong> il riscalda-<br />
133 Anna Maria Crosa Lenz, cit.; brano edito in V. PARAVATI, op. cit., pp. 61-62.<br />
134 Tr.: <strong>la</strong> pietanziera.<br />
135 Maria P., cit.; brano edito in S. VELLA (a cura di), op. cit., p. 76.<br />
136 Piera Riboldazzi, cit.; brano edito in C. FABBRIS (a cura di), art. cit., pp. 38-39.<br />
137 Adriana Mina, cit.; brano edito in A. LOVATTO, L’ordito e <strong>la</strong> trama, cit., p. 51.<br />
a. XXIX, n. s., n. 1, giugno 2009 61