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Giorgio Marincola e la missione “Bamon” - Istituto per la storia della ...

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abbandono, scruta con discrezione gli ambienti,<br />

le celle, si sofferma sulle inferriate e<br />

sulle grate, guarda le pareti scrostate. La<br />

deso<strong>la</strong>zione mostrata da questi spazi rimanda<br />

al<strong>la</strong> deso<strong>la</strong>zione esistenziale di chi ha<br />

conosciuto <strong>la</strong> difficile condizione carceraria.<br />

Il vuoto è riempito dalle testimonianze<br />

di un ex detenuto e di un maresciallo, ex comandante<br />

agente di custodia, e soprattutto<br />

dalle voci fuori campo di altri detenuti che<br />

ricordano alcuni aspetti del loro vissuto detentivo.<br />

In questa partico<strong>la</strong>re dimensione<br />

dettata dal<strong>la</strong> memoria si <strong>per</strong>petua in modo<br />

nuovo l’incontro tra carceriere e carcerato.<br />

Il trascorrere del tempo ha infatti annul<strong>la</strong>to<br />

le distanze tra le due categorie, producendo<br />

un’osmosi sociale tra chi da una parte e<br />

dall’altra ha condiviso una medesima es<strong>per</strong>ienza.<br />

Testimone silenziosa del passato, rappresentato<br />

dai muri del<strong>la</strong> prigione, e del presente,<br />

fatto di uomini che raccontano, è <strong>la</strong> macchina<br />

da presa che scava nei volti, registra<br />

le parole, proponendo una riflessione etica<br />

del mondo carcerario. Ne viene fuori uno<br />

spaccato del<strong>la</strong> quotidianità del recluso: le<br />

giornate che non passano mai, <strong>la</strong> notte<br />

scambiata con il giorno, le ore d’aria, l’attesa<br />

infinita che termini <strong>la</strong> pena. Ma anche <strong>la</strong><br />

fortuna di essere chiusi nel carcere del Piazzo<br />

che, proprio <strong>per</strong>ché è in città, consente di<br />

avere un atipico rapporto con <strong>la</strong> gente che<br />

si vede e si sente attraverso i buchi delle<br />

inferriate delle finestre. È <strong>per</strong>ò solo un’illusione<br />

di libertà e socialità, <strong>la</strong> realtà è l’inquadratura<br />

fissa di una di queste finestre, le cui<br />

sbarre impediscono ogni contatto umano e<br />

precisano <strong>la</strong> natura repressiva del<strong>la</strong> detenzione.<br />

Nei tre “capitoli” successivi il discorso si<br />

storicizza, privilegiando il “fatto” rispetto al<br />

dettato analitico. Il carcere del Piazzo ha infatti<br />

conosciuto dapprima i protagonisti del<strong>la</strong><br />

“ma<strong>la</strong>vita comune”, dediti al furto e am-<br />

Orazio Paggi<br />

mantati di un’aura romantica <strong>per</strong> il rifiuto<br />

del<strong>la</strong> violenza e dell’uso del<strong>la</strong> pisto<strong>la</strong>,<br />

quindi il dramma del<strong>la</strong> droga e del<strong>la</strong> tossicodipendenza<br />

con <strong>la</strong> sua scia di morti <strong>per</strong><br />

overdose e Aids. Ha finito pure <strong>per</strong> entrare<br />

in contatto con <strong>la</strong> “mafia” negli anni del soggiorno<br />

obbligato, quando i presunti mafiosi<br />

venivano inviati al Nord <strong>per</strong> iso<strong>la</strong>rli dal<br />

contesto ma<strong>la</strong>vitoso in cui vivevano. La loro<br />

presenza coincide con un’esca<strong>la</strong>tion criminale<br />

qualitativa che mai il Biellese aveva<br />

visto.<br />

L’ultimo capitolo è centrato su un’intervista<br />

all’ex detenuto Enzo Lucia. Il regista<br />

non sceglie l’intervista c<strong>la</strong>ssica, basata su<br />

domande e risposte, ma annul<strong>la</strong> le prime,<br />

<strong>la</strong>sciando che sia il suo interlocutore a dare<br />

testimonianza diretta del<strong>la</strong> sua es<strong>per</strong>ienza<br />

guardando nell’obiettivo del<strong>la</strong> videocamera,<br />

come se si rivolgesse ad un potenziale<br />

spettatore.<br />

Fenomenologia del carcere<br />

La lettura del carcere in “All’aria” avviene<br />

attraverso le direttive spazio e tempo. La<br />

prima è giocata sul<strong>la</strong> c<strong>la</strong>ssica dinamica chiuso-a<strong>per</strong>to.<br />

Il penitenziario è <strong>per</strong> antonomasia<br />

luogo di reclusione, di limitazione, di<br />

separazione.<br />

Peraldo insiste molto sulle inquadrature<br />

delle pareti, delle grate, delle inferriate, delle<br />

sbarre, che soffocano l’immagine trasmettendo<br />

un senso di c<strong>la</strong>ustrofobia. È come se<br />

si producesse una fusione passiva tra carcerato<br />

e edificio, che provoca spesso solitudine<br />

e frustrazione. Dall’altro <strong>la</strong>to si sottolinea<br />

invece il desiderio di libertà del recluso,<br />

indicato dal titolo (cosa vi è di più<br />

libero dell’aria?) e dall’immagine finale del<br />

corto animato dei titoli di testa che si fissa<br />

sul cielo.<br />

Il tempo ruota sul<strong>la</strong> continua alternanza<br />

presente-passato. Il primo è simboleggiato<br />

118 l’impegno

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