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Pur riconoscendo che un padre non parla mai di sé ai figli per una questione di pudore,<br />
l’autrice, partendo dalle sue vicende personali, si interroga sul ruolo che gioca la lingua<br />
francese in questo mutismo estremizzato, nella incomunicabilità assoluta che rende<br />
impossibile le relazioni di affetto e ogni tipo di legame.<br />
Je me demande, retardataire, définitivement, si mon père, dans le silence de sa langue, obstiné,<br />
volontaire, n’a pas cherché, des années durant à résister, à nous résister, nous ses enfants et sa<br />
femme. 141<br />
Resistere, in questo contesto, ha il suo significato originario, re- e sistĕre, « fermarsi »,<br />
arrestare il naturale processo comunicativo con un atto volontario, dettato dalla forza<br />
incontrollabile dell’umma. Facendo, creando il silenzio, i padri si oppongono all’azione<br />
sociale logica e istintiva della relazione e della trasmissione della conoscenza.<br />
Il tracciato accidentato delle identità in conflitto è aggravato, dunque, dal problema<br />
linguistico che ostacola ulteriormente la comunicazione. Uno dei nodi essenziali di Mon cher<br />
fils consiste infatti proprio nel bilinguismo imposto dalle vicende storiche ai popoli<br />
colonizzati, le cui ripercussioni si fanno sentire anche nella quotidianità dei nuclei familiari.<br />
A più riprese, Leïla Sebbar ritorna su questo tema, connotandolo sempre in modo diverso. In<br />
un crudele gioco di metamorfosi, esso diviene, a volte, espressione dell’accorata<br />
rassegnazione del protagonista: « on enverra un poème à mon fils [...] en arabe et en français,<br />
même s’il ne sait pas la langue de son père, il ne la parle pas, il ne la lit pas, il ne l’écrit pas...<br />
» 142 . Altre volte la questione linguistica veicola la critica dell’autrice all’irrazionalità del<br />
sistema sociale post-coloniale. I figli degli emigrati nati in Francia hanno infatti parlato<br />
l’arabo in famiglia e il francese a scuola: « elle a pris les enfants, la langue de la France » 143 ,<br />
esclama lo chibani in un punto del testo che densamente esprime il suo dolore per<br />
l’amputazione culturale che la Nazione francese ha provocato nei figli degli immigrati: « le<br />
cœur à la maison, la tête à l’école et dans les livres, comment on sépare le cœur, la tête et les<br />
mains ? 144 ».<br />
141 ivi, p. 31.<br />
142 Leïla Sebbar, Mon cher fils, cit., p. 42.<br />
143 ivi, p. 70.<br />
144 Ibid.<br />
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