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Liturgia-delle-Ore-III-ULN-web

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22 maggio 1353

tro possono volere, rimanendo nel Salvatore, se non

ciò che non è contrario alla salvezza? Una cosa infatti

vogliamo in quanto siamo in Cristo, e altra cosa vogliamo

in quanto siamo ancora in questo mondo. Per

il fatto che dimoriamo in questo mondo, a volte quasi

senza accorgerci chiediamo ciò che non giova alla nostra

salvezza. Ma ciò non ci accadrà se rimaniamo in

Cristo, il quale non ci concede, quando preghiamo, se

non ciò che giova al nostro vero bene.

Rimanendo dunque in lui e rimanendo in noi le sue

parole, domandiamo quel che vogliamo e ci verrà dato.

Se chiediamo e non otteniamo, vuol dire che la nostra

richiesta non è conforme al dimorare in lui, né alle

sue parole che dimorano in noi, ma è suggerita dalla

brama e dalla debolezza della carne, la quale non è

certo in lui, e nella quale non dimorano le sue parole.

Sicuramente fa parte delle sue parole quella preghiera

che egli ci ha insegnato e che inizia: «Padre nostro,

che sei nei cieli» (Mt 6,9). Non allontaniamoci, nelle

nostre richieste, dalle parole e dai contenuti di questa

preghiera, e qualunque cosa chiederemo ci verrà concessa.

Le sue parole rimangono in noi quando facciamo

quanto ci ha ordinato e amiamo quanto ci ha promesso;

quando invece le sue parole rimangono nella memoria,

ma non passano nella vita, allora il tralcio non

fa più parte della vite (cfr. Gv 15,4), perché non attinge

vita dalla radice. A questa differenza si riferiscono

le parole della Scrittura: «Conservano nella memoria i

suoi precetti per osservarli» (Sal 102,18). Molti infatti

li conservano nella memoria per disprezzarli, o anche

per deriderli e per combatterli. Le parole di Cristo non

dimorano in coloro che le hanno sulla bocca, ma non

nel cuore. Esse perciò non saranno loro di alcun beneficio,

ma di accusa. E poiché quelle parole sono in loro,

ma non rimangono in loro, le possiedono soltanto

per essere giudicati in base ad esse (cfr. Gv 12,48).

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