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Liturgia-delle-Ore-III-ULN-web

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Martedì 437

Leggete l’Apostolo e noterete che quando egli

dice «fratelli» senza alcuna aggiunta, vuol intendere

i cristiani: «Ma tu, perché giudichi il tuo fratello?

E anche tu, perché disprezzi il tuo fratello?»

(Rm 14, 10). E in un altro passo scrive: «Siete voi

che commettete ingiustizia e rubate, e questo ai

fratelli!» (1 Cor 6, 8).

Perciò costoro, che dicono: «Non siete nostri

fratelli», ci chiamano pagani. Ecco perché ci vogliono

ribattezzare, affermando che noi non possediamo

ciò che essi danno. Ne viene di conseguenza

il loro errore, di negare cioè che noi siamo loro

fratelli. Ma per qual motivo il profeta ci ha detto:

«Voi dite loro: siete nostri fratelli», se non perché

riconosciamo in essi ciò che da loro non viene riconosciuto

in noi? Essi quindi, non riconoscendo il

nostro battesimo, dicono che noi non siamo loro

fratelli; noi invece, non esigendo di nuovo in loro

il battesimo, ma riconoscendolo nostro, diciamo loro:

«Siete nostri fratelli».

Dicano pure essi: «Perché ci cercate, perché ci

volete?». Noi risponderemo: «Siete nostri fratelli».

Ci dicano: «Andatevene da noi, non abbiamo niente

a che fare con voi». Ebbene, noi invece abbiamo

assolutamente parte con voi: confessiamo l’unico

Cristo, dobbiamo essere in un solo corpo, sotto un

unico Capo.

Perciò vi scongiuriamo, fratelli, per le stesse viscere

della carità, dal cui latte siamo nutriti, dal

cui pane ci fortifichiamo, per Cristo nostro Signore,

per la sua mansuetudine vi scongiuriamo. È

tempo che usiamo una grande carità verso di loro,

una infinita misericordia nel supplicare Dio per loro

perché conceda finalmente ad essi idee e sentimenti

di saggezza per ravvedersi e capire che non

hanno assolutamente nessun argomento da opporre

alla verità. Ad essi è rimasta solo la debolezza dell’animosità,

la quale tanto più è inferma quanto

più crede di abbondare in forze. Vi scongiuriamo,

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