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Liturgia-delle-Ore-III-ULN-web

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Settima domenica del Tempo ordinario 211

un modo tale come neppure noi sappiamo amare noi

stessi.

Amò dei peccatori, ma tolse il loro peccato: sì,

amò dei peccatori, ma non li radunò in una comunità

di peccato. Amò degli ammalati, ma li visitò per

guarirli.

«Dio, dunque, è amore. In questo si è manifestato

l’amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo

Unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita

per lui» (1 Gv 4, 8. 9).

Allo stesso modo il Signore disse: «Nessuno ha un

amore più grande di questo: dare la vita per i propri

amici» (Gv 15, 13); e, in quella circostanza, fu verificato

l’amore di Cristo verso di noi, perché egli morì

per noi.

Ma l’amore del Padre verso di noi, in quale cosa

ebbe la sua verifica? Nel fatto che mandò l’unico suo

Figlio a morire per noi. L’Apostolo dice appunto:

«Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo

ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa

insieme con lui?» (Rm 8, 32).

«Egli ha mandato il suo Figlio, come vittima di

espiazione per i nostri peccati» (1 Gv 4, 10), quindi

come espiatore, come sacrificatore. Offrì un sacrificio

per i nostri peccati. Dove trovò l’offerta, dove trovò

la vittima pura che voleva immolare? Non trovò

altri all’infuori di sé, e si offerse.

«Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo

amarci gli uni gli altri» (1 Gv 4, 11).

Però, fratelli miei, quando parliamo di carità vicendevole

dobbiamo guardarci dall’identificarla con

la pusillanimità o con un’inerte passività. Avere la

carità non significa certo essere imbelli e corrivi.

Non pensate che la carità possa esistere senza una

certa bontà o addirittura senza alcuna bontà. La carità

autentica non è certo questo.

Non credere di amare il tuo domestico unicamente

per il fatto che gli risparmi la meritata punizione,

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