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260 Ottava settimana del Tempo ordinario

SECONDA LETTURA

Dal «Commento al libro di Giobbe» di san Gregorio

Magno, papa

(Lib. 10, 47-48; PL 75, 946-947)

La testimonianza interiore

«Chi è deriso dal suo amico, come lo sono io,

invocherà Dio ed egli lo esaudirà» (Gb 12, 4 volgata).

Spesso la mente inferma, quando per le buone

azioni è raggiunta dalla lode e dal plauso umano,

si lascia andare alle gioie esteriori, dà poca importanza

alle aspirazioni interiori, e si adagia volentieri

in ciò che sente dire. Così si rallegra più di essere

proclamata buona, che di esserlo veramente.

Mentre brama parole di lode, abbandona ciò che

aveva incominciato a essere. Si allontana da Dio

proprio per quelle lodi che sembravano unirla a

lui.

Talvolta poi attende con impegno a operare rettamente,

e tuttavia è tormentata dalla derisione degli

uomini. Compie cose mirabili e ne riceve insulti;

e mentre le lodi l’avrebbero tirata fuori di sé, gli

oltraggi la costringono a rientrare in se stessa; e

tanto più saldamente si attacca a Dio nel suo interno,

quanto non ha trovato all’esterno dove riposare.

Allora dirige tutta la speranza nel Creatore e, tra i

biasimi e le derisioni, invoca unicamente il suo testimone

interiore.

L’anima afflitta si fa tanto più vicina a Dio

quanto più si fa estranea alla stima e al favore

umano; si dà subito alla preghiera, e, sotto la pressione

esteriore, diventa più pura e più limpida, per

penetrare più facilmente nel mondo interiore.

A ragione dunque si dice ora: «Chi è deriso dal

suo amico, come lo sono io, invocherà Dio ed egli

lo esaudirà»; i malvagi infatti, mentre rimproverano

la coscienza dei buoni, dimostrano quale testimone

cerchino delle loro azioni. E così i buoni vengono

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