volume II - Grand Tour
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Nell’anno 1719 la maestà del re di Portogallo, con sua lettera, richiese al re di Sardigna don Filippo, che<br />
da quella maestà gli fu accordato, ma per soli sei mesi. Giunto colà, fu bene accolto da quel re, quale<br />
subito gli mandò in dono una borsa piena di lisbonine, che furono rifiutate da don Filippo dicendo che<br />
gli bastava l’onore di esser venuto in Lisbona per servire un sì gran re. Feceli il disegno del fanale,<br />
quale tanto piacque al re che si levò dal dito un bellissimo diamante brillante, di gran valuta, e glielo<br />
donò. Fece poi il disegno della gran chiesa patriarcale per il quale il re lo creò cavaliere dell’abito di<br />
Cristo, con solenne pubblica funzione, donandogli una croce del valore di quattromila scudi. Partito di<br />
Lisbona, passò per l’Inghilterra e per la Francia, dopo aver ricevuto altri doni reali, fu da per tutto<br />
trattato alla grande a spese del re di Portogallo dai di lui ambasciatori. In Londra, essendo un giorno in<br />
campagna, gli fu tolto l’orologio, la tabacchiera e una borsa di doppie, ma dall’ambasciatore gli fu<br />
riposto altrettanto sul tavolino. Onde la mattina appresso, ritrovato ciò da don Filippo, ebbe campo di<br />
ammirare la reale magnificanza del re di Portogallo. Fatto ritorno a Turino, seguitò l’impegno delle<br />
fabbriche già cominciate. L’anno santo 1725 si portò in Roma alla visita dei luoghi santi, ma in tal [p.<br />
750 – <strong>II</strong> – C_126V] congiuntura fece tre disegni d’ordine di papa Benedetto X<strong>II</strong>I per la fabbrica del<br />
conclave stabile. Ma questa non ebbe effetti, i disegni restarono in casa Albani ed egli fu dichiarato<br />
architetto di San Pietro.<br />
Tornato a Turino, ebbe dal re l’abbazia di Salve, di rendita di mille scudi annui. Dopo la morte di<br />
Vittorio Amedeo, fu amato e stimato egualmente dal figlio Carlo Emanuelle. Intanto, essendo stato<br />
chiamato a Mantova, vi andò e con suo disegno fu quivi edificata la cupola di quel duomo, la quale<br />
terminata, fece ritorno a Turino, regalato generosamente da quel principe governatore. Quindi fu<br />
chiamato nuovamente a Roma per cagione della predetta sagrestia di San Pietro, opponendosi con<br />
tutto vigore al parere di uno architetto, che secondo il suo disegno bisognava gettare a terra buona<br />
parte del laterale di San Pietro e tale fu l’energia colla quale parlò che disse che se il papa l’avesse fatto<br />
cardinale, col patto che avesse messo mano a quelle sacrosante pietre, così da lui chiamate, per essere<br />
state fatte con disegno di Michelagnolo, averebbe piuttosto renunziato al cappello, onde fu posto<br />
silenzio al trattato di detta fabbrica. Portatosi ai piedi di Clemente X<strong>II</strong>, fu richiesto che volesse ancor<br />
egli concorrere per il disegno della facciata di San Giovanni Laterano, al che rispose che, essendovi già<br />
tanti disegni e modelli dei concorrenti, non vi era di bisogno che si ponesse lui allora a fare quella fatica<br />
e subito partì per Turino. Incendiatosi in Madrid il palazzo reale nella notte di Natale, la maestà di<br />
Filippo V mandò a chiedere al re di Sardigna don Filippo Juvara, il quale si partì di Turino il dì 2 marzo<br />
1735 e, giunto in Madrid, ebbe subito l’assegnamento di sei mila scudi annui di provvisione. Indi<br />
applicatosi a fare vari disegni per la gran fabbrica di San Idelfonso e di Aranquez, ed avendo a quelli<br />
dato compimento, si pose a fare disegni del gran palazzo per cui era stato chiamato in Ispagna. Ma<br />
ammalatosi con febbre, in termine di otto giorni passò a miglior vita il dì primo di febbraio 1736, in età<br />
di anni 58 in circa, con pianto universale e dispiacere, specialmente del suo re e di altri potenti che<br />
avevano conosciuto il di lui valore e la virtù singolare. Il re di Spagna ne provò un sommo rammarico,<br />
il quale compensò con onore grandissimo facendoli fare un sontuoso funerale, colla celebrazione di<br />
900 messe e fu sepolto nella chiesa parrocchiale di San Martino dell’ordine di S. Benedetto, in Madrid,<br />
[p. 751 – <strong>II</strong> – C_127R] tirandosi ora innanzi la fabbrica da monsù Zacchetti piemontese, suo scolare. I<br />
suoi disegni restarono appresso la maestà del re di Sardigna, il quale benignamente concesse licenza a<br />
Francesco Juvara, fratello del famoso don Filippo, che li facesse stampare. La vita di questo dignissimo<br />
professore fu scritta dal predetto Francesco e in breve si spera di vederla pubblicata alle stampe, colla<br />
nota delle sue opere avendo estratte queste notizie dall’originale manoscritto. Fu fatto accademico di<br />
onore e di merito dell’Accademia di San Luca di Roma e si vede registrato il suo nome nel libro<br />
intitolato Gli eccelsi pregi delle belle arti ecc., stampato in Roma nel 1733. Vedi l’Elogio del signore abate<br />
Filippo Juvara architetto, registrato nel tomo <strong>II</strong>I delle Osservazioni letterarie, che possono servire di<br />
continuazione al Giornale dei letterati d’Italia ecc., stampato in Verona nel 1738, articolo VI, a carta 193.<br />
Domenico Mauro pittore. Trovasi il suo nome in alcune stampe e, fralle altre, in una intagliata da<br />
Sebastiano Bianchi.