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volume II - Grand Tour

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quadro di questo valoroso artefice che in tutte le sue parti è bellissimo e copioso di figure ritrovasi<br />

nella tanto celebre galleria dell’Altezza Reale il granduca di Toscana.<br />

Carlo Dolci, nacque nel 1616 chiamato comunemente Carlino Dolci, per esser piccolo di statura. Pittor<br />

fiorentino, scolare di Jacopo Vignali, dipinse d’una maniera finita al segno maggiore con vaghi e lucidi<br />

colori. Fu uomo da bene, quanto mai dir si possa. Dipigneva per ordinario cose sacre, e perché era<br />

singolare nei ritratti, fu chiamato all’imperio per dipigner l’imperatrice. Morì nel 1686, in età d’anni 70<br />

in Firenze e al suo cadavere fu data onorevole sepoltura nella chiesa della Santissima Nunziata, nella<br />

tomba di sua famiglia. Manoscritto. Sin qui il padre maestro Orlandi, ma da quanto egli dice, pare che<br />

egli non abbia avuto piena contezza del merito e del valore di un sì grand’uomo o che non abbia<br />

veduto per avventura veruna delle di lui migliori opere o solo qualcheduna di quelle che forse saranno<br />

di minor pregio.<br />

Dipinse è vero di una [p. 524 – <strong>II</strong> – C_004V] maniera finita al segno maggiore, ma non per questo fu<br />

punto stentato o secco nel suo operare, perché la diligenza che adoperava Carlino era appunto quella<br />

che, distinguendo, il Baldinucci chiama diligenza pratica ovvero paziente, la quale è propria anche degli<br />

uomini di prima sfera. Dipinse egli adunque storie grandi di figure al naturale, con gran forza di colore,<br />

d’impasto di tinte mara[vi]glioso, ricoprendo col suo tocco da gran maestro e, come si dice tra i<br />

professori, col tocco di bravura, quella fatica, che dipende dallo studio e che è appunto quella che<br />

hanno praticato i grandi uomini. Nelle opere di piccole figure o pure di quadri che si dovevano vedere<br />

più sotto l’occhio, raddoppiò la fatica, lo studio, la diligenza e la finitezza dando in ciò a divedere il suo<br />

finissimo giudicio, senza però perder niente del solito suo buon gusto coll’unire la diligenza alla forza<br />

del colore, all’armonia delle tinte e al brio del tocco, che era sua dote particolare. È vero che egli fece<br />

moltissimi ritratti, facendosi conoscere ancora in questo uno eccellentissimo maestro. Ma non fu già<br />

questa l’unica sua applicazione, anzi fu sempre principalmente occupato o nel dipignere storie grandi e<br />

piccole. Ma più sovente, nel fare mezze figure al naturale.<br />

Andò in Ispruch l’anno 1670 e fece il ritratto dell’arciduchessa Claudia Felice, figliuola di Ferdinando<br />

Carlo arciduca d’Austria e ne fu generosamente ricompensato. Morì il dì 17 gennaio l’anno 1686 e fu<br />

sepolto come di sopra si è detto. Fu Carlo Dolci singolarissimo nel suo modo di dipignere, come bene<br />

lo dimostrano le tante opere sue sparse per l’Europa tutta, nei gabinetti e nelle gallerie dei primi<br />

monarchi del mondo, oltre alle tante e tante altre che ne posseggono private persone. Se egli fosse<br />

stato di un naturale men timido, per non dire pusillanimo, averebbe potuto avere un pregio maggiore<br />

nell’invenzione, che pure è una delle parti principali della pittura. Con tutto ciò anche in questa parte<br />

mostrò talora il suo valore, mentre nel celebre gran quadro di figure al naturale che egli fece per un tale<br />

Eschini, rappresentante la Maddalena in casa del fariseo a’ piedi di Nostro Signore, fece vedere<br />

un’invenzione mirabile e una disposizione di figure totalmente perfetta. Il che unito alle altre parti<br />

rendono quel gran quadro giustamente meritevole di sommo pregio. Questo fu ben conosciuto dal<br />

signor Colman residente britannico alla corte di Toscana, mentre a prezzo ben alto volle averlo per<br />

arricchirne l’Inghilterra dove si trova presentemente. Vedi il Baldinucci nella Vita di Carlo Dolci,<br />

decennale V, della parte I, del secolo V, da 49 [sic] sino a 510. Odoardo Wright nei suoi Viaggi, libro I,<br />

a 125, parla con molta lode di questo artefice e specialmente di alcune sue pitture che sono in Fuligno<br />

nella chiesa di certe monache, detta la Contessa.<br />

[p. 525 – <strong>II</strong> – C_005R] Carlo Alfonso di Fresnoy nacque in Parigi l’anno 1611. Suo padre esercitava la<br />

medicina, che perciò l’allevò col disegno di farlo riuscire un buon medico. Ma dato bando agli studi<br />

della medicina nell’età di 20 anni, si applicò alla pittura sotto Francesco Perier e sotto Simone Vouet,<br />

che infine dopo due anni abbandonò per andarsene a Roma, dove fermossi con Niccolò Mignard, suo<br />

amico. Ivi fece studio esattissimo sopra le opere di Raffaello e sopra l’antico, ed a misura che si<br />

avanzava nella cognizione, e nella profondità dell’arte, poneva in scritto le osservazioni e le cose più<br />

rimarcabili, le quali poi trascrisse in versi latini, componendo un fondato poema già cognito ai dilettanti<br />

della pittura, il quale poi dal latino fu tradotto in prosa nella lingua franzese da Ruggiero de Piles, già<br />

tre volte in tale idioma ristampato e la quarta tradotto in lingua italiana, annessovi ancora tutto il<br />

poema suddetto, è stato impresso l’anno 1713 in Roma per il Rossi. Nel suo dipignere cercava il

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