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volume II - Grand Tour

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Era Ciro di bassa ma forte statura, di complessione sana e robusta se non l’avesse indebbolita col<br />

soverchio fumare del tabacco e col generoso greco che indispensabilmente poi vi beveva. Benché non<br />

fosse molto bello di faccia, aveva però molta grazia nel parlare e una particolare attrattiva nella<br />

presenza. Amava la conversazione degli amici ai quali fu sempre grato e benefico. Voleva di quando in<br />

quando divertirsi e stare in allegria ma i divertimenti e l’allegria non gli facevano perder l’amore alla<br />

fatica, ritornando dopo di essi infallibilmente a operare con maggiore spirito e fervore. Gli piacque più<br />

il disegnare che il dipignere, e più guadagnò nei disegni che nella pittura, dipendendo però questo<br />

unicamente dal suo genio. Fu sfortunato con gli scolari, perché quantunque ne avesse molti, e che gli<br />

ammaestrasse con sommo amore, niuno però vi fece quel profitto che egli averebbe voluto e che<br />

meriti che di alcuno si faccia menzione. Così dice Pascoli, a 171. Anton Domenico Gabbiani fiorentino<br />

fu scolare di Ciro, come già si è detto nella sua vita, e pure con pace del signor Pascoli, medico,<br />

[aggiunta a margine] sbaglia il Gabburri. L’abate Lione Pascoli non fu né medico né pittore, medico<br />

bensì fu il suo fratello Alessandro, vedi la Bibliografia architettonica del Comolli, <strong>volume</strong> <strong>II</strong>, pagina 124 [fine<br />

aggiunta a margine], e non pittore, riescì un gran valentuomo di sorte che se Ciro fosse [p. 555 – <strong>II</strong> –<br />

C_029R] vissuto più lungamente, averebbe avuto giusto motivo di essere contento di un suo allievo di<br />

tanto valore e di tanto merito. Di Ciro ne fa menzione il Pinarolo, tomo I, a 94 e in molti altri luoghi<br />

della sua opera. Torre, a 214. Filibien, libro IV, a 136, nella Vita di Pietro da Cortona. Odoardo Wright<br />

nei suoi Viaggi, <strong>volume</strong> I, a 226, registra alcune sue opere che sono in Roma nella chiesa di San Niccola<br />

da Tolentino, e a 246 parla della cupola di Sant’Agnese di Roma.<br />

Claudio Alberto Sevin nato in Bruselles, dal principe di Lignì applicato alla pittura, diede saggio del suo<br />

alto sapere nella Svezia, nell’Inghilterra e nella sua patria. Desideroso di veder l’anno santo del 1675<br />

partì per Roma. Ivi fermatosi a lavorare l’anno seguente terminò la vita. Sandrart, a 387.<br />

Claudio Audran o pure in nostra lingua Odran, Seniore fu uno dei buoni intagliatori franzesi, dimorò<br />

gran tempo in Roma, intagliò varie statue e rami servibili per le dispute. Ritornato in patria ammaestrò<br />

Gerardo il figlio, il quale si rese famoso per mezzo dei suoi belli intagli e tra gli altri per le sue belle<br />

stampe delle gran battaglie di Carlo Le Brun. Claudio Juniore fratello di Gerardo, nacque in Lione e,<br />

dalla natura portato al disegno, andò a Parigi e studiò sotto Carlo Le Brun, da cui fu impiegato nelle<br />

opere del re. Si veggono in pubblico due quadri e due cappelle dipinte nella certosa e molto più<br />

averebbe operato se la morte non l’avesse portato all’altro mondo d’anni 43 nel 1684. Lasciarono tre<br />

nipoti del nome loro, l’uno celebre pittore per ornamenti, li altri due abili intagliatori. Sandrart, a 374.<br />

Monsù Piganiol de la Force nella sua nuova Descrizione di Versaglies, tomo I, edizione V, a 18, 95, 97, 99,<br />

e tomo <strong>II</strong>, a 182 e 268. Uno di questi nipoti, fu eccellente pittore di grottesche e di rabeschi e custode<br />

del palazzo di Luxemburgo, per quanto scrive il signor Nemeitz nella sua opera intitolata Soggiorno di<br />

Parigi ecc., tomo I, a 369. L’abate Guilbert nella sua Descrizione istorica di Fontanablò ecc., tomo I, a 115,<br />

120. Florent Le Comte, libro I, edizione <strong>II</strong>, a 240.<br />

Claudio Le Fevre da Fontanablò, acquistò molto onore, nel dipigner ritratti e con tal carattere fu<br />

ricevuto nella Reale Accademia di Parigi. Andò poi a Venezia, dove si trattenne tanto tempo che era<br />

chiamato, di Venezia. Ivi intagliò all’acquaforte molte opere, levate dai migliori quadri esposti al<br />

pubblico e sono correttamente disegnati. Passò finalmente in Inghilterra, ove d’anni 42 morì nel giorno<br />

5 di agosto 1675.<br />

Claudio Franzese e Guglielmo da Marcilla, furono chiamati a Roma da Giulio <strong>II</strong> per dipignere le [p.<br />

556 – <strong>II</strong> – C_029V] finestre del Vaticano giacché erano in quell’arte i primi maestri ed in fatti fecero<br />

stupire quella città, ma la disgrazia del sacco di Roma portò che fossero infranti i vetri dai nemici, per<br />

levare il piombo da formare palle da moschetto. Se ne conservano però in Santa Maria del Popolo, di<br />

mano di questo artefice, il quale disordinando nel mangiare e nel bere in termine di sei giorni passò<br />

all’altro mondo. Vasari, parte <strong>II</strong>I, libro I, a 90 nella Vita di Guglielmo Marcilla o da Marcilla. Monsù<br />

Filibien, libro I, a 230. Altro Claudio franzese, di Parigi o parigino, registra il Vasari, parte <strong>II</strong>I, libro I, a<br />

211, nella Vita del Rosso, che fu scolare del medesimo Rosso Fiorentino che con Francesco d’Orleans,

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