volume II - Grand Tour
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il Poggio a Caiano, della real casa di Toscana, la quale collezione fu fatta già con regia spesa della G. M.<br />
del serenissimo Ferdinando Medici gran principe di Toscana.<br />
Domenico Ricci o Riccio e del Riccio, conforme scrive il Vasari, veronese detto il Brusasorci perché il<br />
padre fu inventore di vari ordigni per prendere i sorci. Da sé lavorò molte figure ed intagliò in legno,<br />
poi entrò nella scuola del Caroto al disegno, ma essendo d’ingegno perspicace, facile ed erudito ne i<br />
suoi soggetti, superò il maestro. Andò a Venezia per vedere le pitture di Tiziano e di Giorgione ed ivi<br />
ingrandì la maniera tanto a fresco quanto a olio. Condotto a Mantova dal cardinal Gonzaga, dipinse in<br />
duomo a competenza di Paolo Veronese e del Farinati. Fu costumato e virtuoso artefice ed oltre alla<br />
pittura fu ottimo musico e de’ primi dell’Accademia nobilissima de’ filarmonici di Verona. Sonava così<br />
bene di liuto che rapiva. Nel 1567 morì d’anni 73. Ridolfi, parte <strong>II</strong>, a 105. Riccio, scrive il<br />
commendatore dal Pozzo, a 60. Il Baldinucci, decennale IV, del secolo IV, a 320. Come ancora dal<br />
Vasari vien chiamato del Riccio, dopo la Vita di Michele San Michele, parte <strong>II</strong>I, a 524, nel qual luogo il<br />
Vasari parla con somma lode non solo di questo ma di altri artefici veronesi, dicendo che son degni di<br />
esser nominati e non passati in niun modo sotto silenzio, e pur questi non erano toscani. Il che serve a<br />
smentire quegli appassionati scrittori che tante volte nei loro scritti si sono impegnati di far comparire<br />
il povero Vasari per uno appassionato e [p. 686 – <strong>II</strong> – C_094V] maligno, che abbia voluto mettere in<br />
cielo empireo solamente i toscani, e tra quelli molti di poco merito. Sono moltissime le sue opere per la<br />
chiesa di Verona, le quali vengono registrate dall’Incognito conoscitore; vedi l’indice di esso, della parte I, a<br />
320. Sono sue opere in Mantova nella chiesa di Santa Barbara. Viveva colà nei medesimi tempi di<br />
Giovanni Batista Bertano, architetto primario di quel duca, come scrive il Vasari nella Vita di<br />
Benvenuto Garofalo, parte <strong>II</strong>I, a 559. Filibien, libro <strong>II</strong>I, a 106, nella Vita di Paolo Veronese; e nello<br />
stesso libro <strong>II</strong>I, a 130.<br />
Domenico Romano, aiutò gran tempo il suo maestro Francesco Salviati in Roma e in Firenze. Fiorì nel<br />
1550. Vasari, parte <strong>II</strong>I, libro <strong>II</strong>, a 96 e 675, nella Vita di Francesco Salviati.<br />
Domenico Santi bolognese, detto Mingaccino, scolare di Agostino Mitelli. Fu fermo, spedito, fondato<br />
e pastoso maestro di quadratura, stimato non solo dalla sua città ma da tutti i principi della Lombardia,<br />
i quali con somma lode servì, massimamente il duca Sforza, che lo creò cavaliere. Morì d’anni 73 nel<br />
1694 e fu sepolto in San Benedetto. Malvasia, parte IV, a 420. Masini, a 619. Giampietro Zannotti,<br />
nella sua Istoria dell’Accademia Clementina, ne fa menzione nel libro I, capitolo IV, a 29; libro <strong>II</strong>, a 270,<br />
nella Vita di Marco Antonio Chiarini; 323, nella Vita di Giovanni Antonio Burini; e 373, nella Vita di<br />
Carlo Giuseppe Carpi.<br />
Domenico Scorticore lombardo, allievo di Taddeo Carlone. Fu scultore e architetto insigne in Genova,<br />
dove lasciò molte opere scolpite e varie piante di palazzi sopra i suoi disegni innalzati. Aggravato da<br />
flussioni catarrali, passò a miglior vita in età virile in Genova. Soprani, 295.<br />
Domenico Tempesti, nativo di Fiesole, pittore e intagliatore fiorentino. Nacque l’anno 1652, studiò<br />
sotto Baldassar Franceschini, detto il Volterrano, dal quale imparò il disegnare e il dipignere. Fece<br />
bellissimi ritratti al naturale di pastelli. Desideroso d’imparare d’intagliare a bulino, l’anno 1675<br />
dall’Altezza Reale di Cosimo <strong>II</strong>I granduca di Toscana fu mandato [p. 687 – <strong>II</strong> – C_095R] a Parigi e<br />
imparò da Roberto Nanteuil, da cui fu sommamente amato. Questi dopo due decenni morto che fu,<br />
passò sotto Gherardo Edelink fiammingo. Ritornato in patria, dal suo principe gli furono assegnate<br />
provvisione e stanza nella Real Galleria, dove travagliò col bulino e coll’acquaforte. Ripigliati poi i<br />
pennelli e i pastelli, passò a Roma presso Carlo Maratti, che lo protesse, ed ivi consumò dodici anni,<br />
dopo dei quali fu condotto a Londra dal milord Exiteu: andò in Irlanda, in Olanda, indi a Dusseldorf,<br />
dove fece i ritratti di quelli elettori, dai quali fu largamente rimunerato. Ritornato in Olanda, varcò la<br />
Fiandra e giunse a Parigi, e per tutto lasciò qualche memoria di se stesso. Ridotto in patria vive<br />
provvisionato nella Real Galleria operando col pennello e coi pastelli o con intaglio a bulino, sopra di<br />
cui pensa di dare al pubblico un trattato colle osservazioni di altri eccellenti professori. È stato di uno