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Introduzione, testo critico, traduzione e note del De orthographia di ...

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quando <strong>di</strong>ciamo ‘clandestinus’, benchè derivi da ‘clam’, così ‘sinciput’ che corrisponde a<br />

‘semicaput’. Ma quanto detto non deve valere ovunque. Infatti talvolta si pronuncia in<br />

modo più pieno con la ‘n’ piuttosto che con la ‘m’, come quando <strong>di</strong>co ‘etiam nunc’,<br />

sebbene io scriva ‘etiam’ con la ‘m’, tuttavia non so come non mi riesce <strong>di</strong> pronunciarla.<br />

Talora in verità è necessario seguire l’eleganza <strong>di</strong> uomini eru<strong>di</strong>ti, che hanno omesso alcune<br />

lettere a causa <strong>del</strong>la loro esilità, come Cicerone il quale <strong>di</strong>ceva volentieri ‘foresia’,<br />

‘Megalesia’, ‘hortesia’ senza la lettera ‘n’ e, per usare le sue parole, “con più piacere <strong>di</strong>rò<br />

‘posmeri<strong>di</strong>anae quadrigae’ piuttosto che ‘postmeri<strong>di</strong>anae’”. Così alcuni pronunciarono<br />

‘dossum’ con due ‘s’ in quanto più dolce, anziché ‘dorsum’ con la ‘r’. E anzi in ‘rusum’ e<br />

‘retrosum’ la lettera ‘r’ è completamente abolita.<br />

[XIII.9] Molti scrivono ‘cocus’ nell’una e nell’altra sillaba con la ‘q’, molti anche<br />

inserendo la : anche nel verbo scrivono ‘quoquere’ con la sillaba ‘quo’. Niso ritiene<br />

che la lettera ‘c’ debba essere posta ovunque tanto nel nome quanto nel verbo, la qual cosa<br />

mi sembra troppo misera. Infatti come la prima sillaba non deve essere appesantita, così la<br />

seconda deve risultare piena. Tanto più convenientemente in Virgilio si legge<br />

† ‘et caeteram coquit improbus hastam’ †<br />

con la seconda sillaba scritta con la ‘q’, <strong>di</strong> quanto avverrebbe se entrambe le sillabe scritte<br />

con la ‘c’ si pronunciassero ‘k’.<br />

[XIII.10] Anche ‘locutio’ secondo Antonio Rufo deve essere scritta con ‘q’, poiché<br />

deriva dal verbo ‘loqui’; allo stesso modo ‘periculum’ e ‘ferculum’. Per questi nomi<br />

ritengo sia sufficiente la lettera ‘c’, così, per Ercole, come giu<strong>di</strong>co che pronuncino e<br />

scrivano in maniera non corretta coloro che <strong>di</strong>cono ‘quoti<strong>di</strong>e’ con ‘quo’, dal momento che<br />

‘coti<strong>di</strong>e’ con ‘co’ e si pronuncia e si scrive meglio. ‘Quoti<strong>di</strong>e’ infatti non è detto da ‘quotus<br />

<strong>di</strong>es’, ma ‘coti<strong>di</strong>e’ deriva da ‘continens <strong>di</strong>es’.<br />

[XIII.11] D’altra parte giu<strong>di</strong>co non debbano essere imitati coloro che perseguono<br />

un’eccessiva eleganza, sebbene Niso consigli <strong>di</strong> scrivere ‘comese’ e ‘consuese’ con una<br />

sola ‘s’ e ne spiega il motivo, poiché appunto una consonante geminata solitamente non<br />

procede subito dopo una vocale lunga, e, aggiunge, perché gli antichi non geminavano ma<br />

ponevano un segno <strong>di</strong>stintivo al <strong>di</strong> sopra <strong>del</strong> punto che andava geminato. In queste<br />

argomentazioni chiaramente si scorge l’errore <strong>di</strong> Niso. L’uso rivela infatti che le<br />

consonanti unite a vocali lunghe vengono geminate, visto che <strong>di</strong>ciamo anche ‘errasse’<br />

‘saltasse’ ‘abisse’ ‘calcasse’. Invece chi non sa che ‘malus’ scritto con una sola ‘l’ è molto<br />

<strong>di</strong>stante da ‘Mallus’ con la stessa lettera geminata? In verità proprio quell’argomento che<br />

Niso porta, ossia che solitamente veniva posto sopra un segno <strong>di</strong>stintivo, mostra che nella<br />

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