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Introduzione, testo critico, traduzione e note del De orthographia di ...

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maggior parte dei casi a Cicerone, il quale ritenne si dovessero scrivere ‘Aiiax’ e ‘Maiia’<br />

con due ‘i’, sembra opportuno accordare la scrittura con l’u<strong>di</strong>to (sebbene si deve osservare<br />

che si tratta <strong>di</strong> un’unica lettera, se appunto può anche pronunciarsi con una sola ‘i’, come è<br />

scritto). Perciò ritiene opportuno sia scritta con due ‘i’ quella voce che risuoni più chiara e<br />

piena, così anche ‘Troia’ e nomi simili se ce ne sono. Da qui cresce questa geminazione e<br />

si inizia a scrivere ‘coiiicit’, con tre ‘i’, in modo che la prima sillaba sia ‘coi’, le successive<br />

‘ii’ e ‘cit’. Infatti se ‘iicit’ deriva da ‘iacit’, la ‘i’ sostituisce la ‘a’, in modo da mantenere il<br />

valore <strong>di</strong> vocale, e si conserva la prima ‘i’, che rivestiva il ruolo <strong>di</strong> consonante. Ma coloro<br />

che scrivono ‘Troia’ e ‘Maia’ con una sola ‘i’, <strong>di</strong>cono che non bisogna appesantire la<br />

scrittura con troppe lettere, essendo sufficiente il suono stesso. La natura <strong>di</strong> alcune lettere,<br />

infatti, è secondo loro tale che esse indugiano e prolungano il suono <strong>del</strong>la pronuncia, cosa<br />

che accade anche quando <strong>di</strong>ciamo ‘hoc est’, dal momento che la stessa vastità <strong>del</strong>la lettera<br />

cresce nella pronuncia. E la natura stessa <strong>del</strong>la lettera ‘i’ è tale che, posta in mezzo a<br />

vocali, viene pronunciata più estesamente, mentre la lettera che precede la trae a sé e quella<br />

che segue la riven<strong>di</strong>ca. E poiché è chiaro che presso i Greci ‘Troia’ e ‘Maia’ sono scritte<br />

con una sola ‘i’, a noi non è necessaria una seconda ‘i’, dal momento che nel nome latino<br />

non è la scrittura a cambiare, ma solo la pronuncia. Così presso quelli ‘μυῖα’ viene scritta<br />

con una sola ‘i’, allo stesso modo ‘θυιάς’. Sebbene i Greci si oppongano al fatto che<br />

questa lettera ‘i’ formi un tutt’uno con qualche vocale, tanto da dar vita a un’unica sillaba,<br />

e vogliano che ‘μυία’ e ‘θυιάς’ siano nomi trisillabi, tuttavia, essendo la natura un<br />

eccellente testimone, sono costretti a cedere a colui che <strong>di</strong>ce:<br />

‘υἱός θ᾿υἱωνός τ᾿ἀρετῆς πέρι δῆριν ἔθεντο’<br />

a meno che questo verso non inizi con due anapesti, cosa che in nessun modo può<br />

avvenire. Ma, come abbiamo detto sopra, ogni volta che questa lettera è posta in mezzo a<br />

due vocali, occupa il posto <strong>di</strong> due consonanti. Così non sarà acefalo il verso:<br />

‘Thyas ubi au<strong>di</strong>to[s] trepidant trieteria Baccho’,<br />

e:<br />

‘Troiaque nunc stares’,<br />

e:<br />

‘aio te, eacida, Romanos uincere posse’.<br />

E dal momento che la scrittura deve essere libera da impacci, non abbiamo seguito Accio il<br />

quale raddoppia sempre le vocali, ovunque la sillaba sia lunga.<br />

[V.2] A questo punto affrontiamo anche la questione se alcune parole debbano<br />

essere scritte con ‘e’ e ‘i’ secondo l’uso greco. Alcuni, infatti, così scrissero le sillabe<br />

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