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FuoriAsse #19

Officina della cultura

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delle voci possibili di espressione delle comunità<br />

sia urbane che rurali. Questo in un momento<br />

in cui la fotografia digitale era qualcosa per<br />

pochi e nelle scuole ancora non era arrivata.<br />

Oggi invece la camera oscura è solo vista come<br />

un elemento tecnico in più, da acquisire per il<br />

curriculum, ma ha perso la sua capacità di<br />

trasmettere la fisicità della fotografia: gli odori<br />

degli acidi, scaldare una parte della foto e farla<br />

risaltare con le mani e il muoversi delle dita<br />

sotto l’ingranditore».<br />

Nelle sue foto continua a cercare il<br />

valore artistico che più si lega al sociale<br />

e, allo stesso tempo, capace di passare<br />

da una fotografia che è testimonianza<br />

artistica a una fotografia di “consumo”<br />

attraverso l’utilizzo delle foto-ritratto del -<br />

le donne della sua famiglia, al cui volto<br />

la fotografa lega l’immagine del suo corpo,<br />

lavori che da un verso sembrano<br />

rispondere all’esigenza del riconoscersi<br />

e dall’altro a riaffermare la fotografia nel<br />

suo valore di memoria che si trasmette<br />

come parte della storia familiare, proprio<br />

in quanto oggetto che fa parte della<br />

casa.<br />

«Volevo con questa serie di fotografie dedicate ai<br />

ritratti della mia famiglia ritrovare l’origine fisica,<br />

il DNA del mio corpo, quasi una definizione<br />

attraverso il tempo di quello che ho da prima<br />

di nascere, quasi una memoria del mio futuro<br />

prima d’avere un presente. È stato il ritorno a<br />

vedermi come immagine fotografabile e come<br />

corpo composito a cui aggrapparmi dal/e intor-<br />

©Maryori Cabrita<br />

©Maryori Cabrita<br />

no alla mia nicchia. Un ritorno a quello che<br />

inevitabilmente sono attraverso di loro. Quelle<br />

loro, artefici della mia esistenza femminile, simbolo<br />

e immagine eterna del mio lignaggio. Allo<br />

stesso tempo un mettere in risalto il valore della<br />

fotografia come documento storico e sociale e<br />

come oggetto della memoria familiare legato in<br />

quanto soggetto alle mode del tempo, dalla<br />

pettinatura alla cornice e, quindi, memoria presente<br />

e reale – ride – di quelle che si possono<br />

spolverare».<br />

Una delle serie fotografiche collegate al<br />

tema della memoria è quella che sembra<br />

narrare una rappresentazione collettiva<br />

di chi non ha memoria. Sono le foto fatte<br />

in un cimitero pubblico, ovvero quello<br />

dei più poveri, scatti a tombe di bambini<br />

morti chissà quando, che sembrano lì<br />

seduti intorno ai giocattoli che qualcuno<br />

continua a lasciare su queste pietre<br />

ormai annerite dal tempo, ma brillanti<br />

di giocattoli come una fantasia che non<br />

può finire.<br />

FUOR ASSE<br />

115<br />

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