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Musica che affronta il silenzio - Scritti su Toru Takemitsu - Pavia ...

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24<br />

Luciana Galliano<br />

e delle discussioni fra gli amici del Jikkenkb sono nutriti an<strong>che</strong> di umanesimo<br />

cattolico, dalle cui posizioni fert<strong>il</strong>mente dialoga con Yuasa e<br />

Fukushima, quest’ultimo soprattutto già vicino a una cosciente consapevolezza<br />

del pensiero zen. In questa prima fase <strong>il</strong> progetto è quello di dare un<br />

senso al flusso di <strong>su</strong>oni: «divenni consapevole del fatto <strong>che</strong> comporre è dare<br />

un senso a quel flusso di <strong>su</strong>oni <strong>che</strong> penetra nel mondo in cui viviamo»<br />

(Takemit<strong>su</strong> 1995, p. 79). 9 Questo nella più indipendente e originale libertà.<br />

Il fascino di una profonda inquietudine farà dire a Hidekazu Yoshida, <strong>il</strong><br />

critico <strong>che</strong> in un certo senso l’aveva scoperto all’epoca del Lento: «La<br />

musica di Takemit<strong>su</strong> ci intossica»;<br />

2. un secondo periodo coincide in un certo senso con l’esplosione della ribellione<br />

e sono le manifestazioni collettive contro l’impegno m<strong>il</strong>itare e<br />

l’attività in un certo senso rivoluzionaria presso <strong>il</strong> centro Sget<strong>su</strong>, come<br />

an<strong>che</strong> la partecipazione a Fluxus, insieme all’amico di una vita Kuniharu<br />

Akiyama – ed è la violenza espressiva di un brano come Textures (1964).<br />

Dirà Takemit<strong>su</strong>, nel 1968: «la forma della mia musica è <strong>il</strong> ri<strong>su</strong>ltato diretto e<br />

naturale imposto dai <strong>su</strong>oni stessi, in nes<strong>su</strong>n modo predeterminato<br />

dall’inizio». E ancora: «Non voglio prefiggermi di controllare i <strong>su</strong>oni.<br />

Preferisco lasciarli liberi, se possib<strong>il</strong>e senza controllarli. Mi basterebbe<br />

raccogliermeli intorno e dar loro un minimo movimento» (Takemit<strong>su</strong> 1971,<br />

p. 206). Il compositore ha coscienza <strong>che</strong> i <strong>su</strong>oi brani «liberavano la musica<br />

da una certa stagnazione e la portavano a qualcosa di decisamente nuovo e<br />

differente» (Takemit<strong>su</strong> 1989, p. 202). 10 Takemit<strong>su</strong> prende inoltre coscienza<br />

delle peculiarità e delle novità, rispetto alla <strong>su</strong>a formazione, di alcuni nodi<br />

estetici dell’arte e della musica giapponesi, ma non c’è alcun intenzione di<br />

mediare fra le due; è l’idea della ‘non trasportab<strong>il</strong>ità’ di concetti e materiali<br />

giapponesi, splendidamente espressa nel November Steps (1967);<br />

3. dall’incontro con un patrimonio formidab<strong>il</strong>e come quello dell’estetica musicale<br />

tradizionale <strong>il</strong> progetto cambia; Takemit<strong>su</strong> dice <strong>che</strong> se in precedenza<br />

«nello strutturare un brano componevo come assemblando mattoni, conosciuta<br />

la musica tradizionale e l’estetica relativa sono passato<br />

progressivamente a concepire la struttura come un flusso e alla fine concepisco<br />

la musica come un fiume di <strong>su</strong>oni <strong>che</strong> mi comprende. Io mi avvicino<br />

al fiume dei <strong>su</strong>oni, cerco di toccarne <strong>il</strong> fondo e di essere uno con esso per un<br />

istante» (Catàn 1989, p. 108). Sempre più forte è la concezione di musica<br />

come processo prima <strong>che</strong> come forma. Sono gli anni dell’affermazione internazionale<br />

di Takemit<strong>su</strong>: a metà degli anni Settanta è visiting professor<br />

9 Da un testo del 1948.<br />

10 Da una lecture data <strong>il</strong> 6 luglio 1988 al “First New York International Festival of the Arts”.

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