Musica che affronta il silenzio - Scritti su Toru Takemitsu - Pavia ...
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Giangiorgio Pasqualotto<br />
contiene tutto, nel senso <strong>che</strong> rappresenta lo sfondo di tutti i <strong>su</strong>oni e le note, i rumori<br />
naturali e non <strong>che</strong> noi percepiamo. Di nuovo, <strong>il</strong> s<strong>il</strong>enzio non è l’opposto del <strong>su</strong>ono o del<br />
rumore ma è <strong>il</strong> recipiente, la matrice di tutte le manifestazioni sonore.<br />
«Cominciare col riconoscere i <strong>su</strong>oni in sé stessi piuttosto <strong>che</strong> preoccuparsi delle loro<br />
funzioni» (Takemit<strong>su</strong> 1995, p. 80). 2 Con questa dichiarazione Takemit<strong>su</strong> sembra voler andare<br />
oltre <strong>il</strong> concetto di musica come costruzione dei <strong>su</strong>oni, per attingere a una sorta di<br />
‘esperienza pura’ del <strong>su</strong>ono. Vorrei sottolineare <strong>che</strong> <strong>il</strong> concetto di ‘esperienza pura’ è<br />
fondamentale e di vasta portata nel pensiero giapponese, ma Takemit<strong>su</strong> vi fa riferimento<br />
probab<strong>il</strong>mente inconsciamente non per abbandonare l’idea della musica come costruzione<br />
di <strong>su</strong>oni, ma per dire <strong>che</strong> ogni costruzione sonora non può prescindere dal considerare<br />
prima di tutto <strong>il</strong> <strong>su</strong>ono in quanto tale, come evento fisico: in altri termini, per Tru<br />
Takemit<strong>su</strong> l’essenza della musica non va cercata nella concettualizzazione matematica,<br />
astratta delle relazioni tra le note, ma nell’<strong>il</strong>limitata complessità del <strong>su</strong>ono in sé – un <strong>su</strong>ono<br />
è già di per sé un universo di significati praticamente inesaurib<strong>il</strong>i. Ciò tuttavia non deve far<br />
pensare <strong>che</strong> Takemit<strong>su</strong> trascuri o, addirittura ignori, i linguaggi e gli s<strong>che</strong>mi logici della<br />
musica, soprattutto occidentale, pensata per essere scritta: anzi – come ha bene dimostrato<br />
Peter Burt – Takemit<strong>su</strong> non solo li aveva studiati, ma li aveva an<strong>che</strong>, per un lungo periodo,<br />
fatti propri. La grandezza di Takemit<strong>su</strong> mi sembra stia proprio in questo <strong>su</strong>o mirare a<br />
cogliere l’orizzonte di fondo di ogni tipo di musica al di là di ogni distinzione<br />
orientale/occidentale, o di preponderanza ritmica o melodica, senza dimenticare la necessità<br />
di conoscere e possedere forme e tecni<strong>che</strong> specifi<strong>che</strong> della composizione musicale. Ovvero,<br />
in direzione speculare, egli ha mostrato di sapere padroneggiare tali forme e tecni<strong>che</strong><br />
ricordando come esse affondino le loro ineliminab<strong>il</strong>i radici in un’esperienza pura del <strong>su</strong>ono<br />
e dei s<strong>il</strong>enzi preliminare a ogni notazione musicale.<br />
Cer<strong>che</strong>rò di considerare nell’opera di Takemit<strong>su</strong> la mancanza di opposizione fra<br />
esperienza pura del <strong>su</strong>ono ed esperienza astratta, rappresentata dalla traduzione matematica<br />
o linguistica dei <strong>su</strong>oni creata ad arte; è necessario per questo capire l’importanza<br />
nella cultura giapponese del riferimento a una dimensione profonda, <strong>che</strong> precede e<br />
fonda ogni formalizzazione.<br />
Ebbene, questo desiderio di andare alla base e alla fonte della musica appare perfettamente<br />
coerente con quell’orizzonte di senso – tipico della tradizione culturale<br />
giapponese – nel quale l’obiettivo fondamentale della vita umana non è quello di produrre<br />
rappresentazioni delle cose, dei fatti e degli eventi, ma quello di cogliere la loro<br />
matrice vitale originaria, precedente qualsiasi descrizione e catalogazione mediante<br />
concetti e s<strong>che</strong>mi astratti. Questo, tuttavia, senza opporre tale esperienza dello sfondo<br />
vitale agli universi di forme <strong>che</strong> da esso traggono origine, ma sempre mostrando la<br />
continuità tra le forme prodotte e quello sfondo <strong>che</strong> opera come loro condizione di<br />
possib<strong>il</strong>ità. Per comprendere quanto sia essenziale nella cultura tradizionale giapponese<br />
2 Cit. in Burt (2003, p. 225).