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L'altra agricoltura… - Inea

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SINTESI DEL WORKSHOP<br />

DI CATIA ZUMPANO<br />

Le esperienze di cui ci siamo occupati nel Workshop si incrociano e nello stesso tempo si differenziano da<br />

quelle degli altri workshops.<br />

Nella prima giornata, più di una volta, si è fatto riferimento ai processi di resistenza dell’agricoltura. In realtà<br />

in questo workshop ci siamo occupati dei processi di resistenza, attraverso l’agricoltura, in situazioni di forte<br />

disagio sociale, in quanto si tratta di aree marginali, con forte presenza di fenomeni mafiosi. Qui l’agricoltura<br />

diventa il mezzo per avviare il riscatto sociale, culturale o anche economico, per innescare nuovi processi<br />

di sviluppo per settori dei contesti rurali, ma anche in un ambito più largo, quello locale. Sono esperienze<br />

che stanno avendo un forte impatto negli atteggiamenti delle persone, nella cultura locale. Quelle affrontate<br />

sono esperienze complesse e anche portatrici di una forte eticità. Entrambe nascono alla fine degli anni ’90,<br />

quando crolla l’alibi dell’impossibilità di agire perché vi sono ostacoli legati al problema mafia. In quegli anni<br />

si diffonde un senso di insofferenza verso la logica tradizionale secondo cui (dalle stesse parole dei partecipanti<br />

al Workshop): “C’è la mafia quindi non si può fare niente!”.<br />

Alcune persone hanno pensato di iniziare a “sporcarsi le mani” con questa realtà e di agire, affrontando<br />

questi grossi rischi.<br />

È stata narrata l’esperienza della cooperativa Valle del Marro, che si inserisce nell’esperienza di Libera, che<br />

ha una sua particolarità: fa parte di un’esperienza a carattere nazionale e opera sulle terre confiscate alla<br />

mafia. La Valle del Marro opera prendendo le distanze dalla realtà locale, cioè ha posto delle barriere con il<br />

fenomeno mafioso e opera su quello strato che è stato definito “un po’ grigio”, quello strato della popolazione<br />

che sta ai margini, che subisce in qualche modo questi fenomeni, che non ha il coraggio di affrontarli<br />

e prendere delle iniziative.<br />

La Valle del Bonamico, che ha dietro la forte presenza carismatica del vescovo Bregantini, ha deciso di sporcarsi<br />

le mani, cioè opera direttamente e coinvolge nelle proprie esperienze soggetti che in qualche modo sono<br />

entrati in contatto con il mondo mafioso. Si tratta di detenuti o loro parenti. Toccante è stato il racconto,<br />

durante il workshop, del presidente Schirripa, quando narra appunto che agli inizi dell’attività della cooperativa,<br />

quando ha iniziato ad avere anche qualche risvolto economico, le madri stesse dei ragazzi soggetti all’influenza<br />

mafiosa, chiedevano l’impiego dei propri figli all’interno della cooperativa, perché non volevano<br />

che seguissero le orme dei padri.<br />

Entrambe le esperienze affrontano la stessa tematica, ma con modalità diverse. Entrambe sono portatrici di<br />

valori etico-solidali e anche sociali, hanno una visione etica del rapporto con il territorio, non solo dal punto<br />

di vista culturale, ma anche ambientale. Sono animate da valori come rispetto del territorio e recupero della<br />

memoria. Uno dei motti della Valle del Bonamico è appunto “Radici, Memoria, Identità”. Una delle esperienze<br />

che porta avanti è, infatti, il recupero del maiale nero dell’Aspromonte. Hanno scoperto, infatti, dei<br />

maiali bradi, che non riescono però a valorizzare perché ritenute razze illegali. Dietro si portano anche la voglia<br />

di stimolare iniziative imprenditoriali. Sono esperienze che soprattutto devono fare da collante tra gio-<br />

RETELEADER 107

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